Corriere della Sera

ESPULSI DAL PD A TORINO, UNA DECISIONE STRANA IN UN PARTITO LIQUIDO

- Di Paolo Franchi

ARoma c’è anche una piazza che porta il suo nome, Teodoro Morgia. Giusto: Morgia è stato un dirigente storico della Camera del Lavoro romana. A cavallo tra i Sessanta e i Settanta, presiedeva la commission­e di controllo del partito comunista capitolino. Si diceva che fossero dei cimiteri degli elefanti, le commission­i di controllo nazionale e provincial­i del Pci, ed era anche vero. Quella, però, era la stagione del Manifesto, «Dolce cuore di Baffone/Ogni giorno un’espulsione», si salmodiava nei corridoi, gli organi di controllo funzionava­no a pieno regime nonostante gli oppositori intonasser­o: «Beria, Stalin, Ghepeu/La vostra polizia non la vogliamo più». Morgia era un signore simpatico con i capelli (e forse anche i baffi) bianchi, non aveva l’aria di uno della Ghepeu. Ma a Roma era suo il compito di istruire la pratica contro i sospetti di «prolungata e grave attività frazionist­ica». E sui dissidenti interrogat­i nella sua stanza incombeva un celebre ritratto, quello in cui Lenin punta severo il dito sugli avversari: come se ce l’avesse personalme­nte con loro, e imperiosam­ente li esortasse a vuotare il sacco. Chissà se (tra cent’anni) una piazza di Torino sarà dedicata all’onorevole Stefano Esposito, che, leggiamo, sarebbe l’ispiratore dell’espulsione di una ventina di iscritti torinesi al Pd, rei di aver partecipat­o a una manifestaz­ione degli scissionis­ti. Diremmo, a occhio e croce, di no, e non solo perché non risulta che Esposito sia stato, come il vecchio Morgia, un autorevole dirigente sindacale. La citazione delle tragedie che nella storia, talvolta, si ripresenta­no in forma di farsa è abusata. Limitiamoc­i dunque a constatare che, proprio come le scissioni, neanche le espulsioni sono più quelle di una volta. Nemmeno sotto il profilo estetico. Non fosse altro perché una cosa (spesso drammatica) era venire espulsi, o radiati, da un partito-comunità forse non proprio ferreo come si crede, ma sin troppo solido, e rigidament­e centralist­ico; un’altra è essere cacciati da un partito liquido come le regole su cui dovrebbe fondarsi la sua vita interna.

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