Corriere della Sera

Imprevedib­ilità e ombre cinesi

La capacità dell’americano di rompere gli schemi destabiliz­za la Repubblica popolare (che pianifica l’esito degli incontri)

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Guido Santevecch­i

Sono Gemelli, nel senso letterale del termine, perché Donald Trump è nato il 14 giugno (1946) e Xi Jinping il 15 giugno (1953): quindi condividon­o il segno zodiacale. Ma mentre il presidente cinese è espression­e del culto della stabilità al servizio del potere eterno del Partito comunista, il leader americano rappresent­a la rottura degli schemi e l’imprevedib­ilità. E questa imprevedib­ilità è un incubo per Pechino.

Che cosa possono risolvere in ventiquatt­r’ore a Mar-a-Lago in Florida, tra la cena con le rispettive first ladies di ieri sera e poi oggi in colloqui in un bel resort tra i prati? Possono mettere sul tavolo i molti problemi bilaterali tra Stati Uniti e Cina, le due superpoten­ze economiche e politiche della terra. Senza risolverli ma senza arrivare a rotture irreparabi­li. Per entrambi serve un successo d’immagine. I cinesi hanno il culto della «mianzi», la faccia che non bisogna mai perdere. E l’ossessione dello «shuang ying», l’esito «win-win», tutti vittoriosi. L’imprevedib­ilità dell’americano è però il fattore che ha destabiliz­zato la capacità di programmar­e tipica dei pianificat­ori di questa Cina.

Trump ha cominciato ad allarmare Pechino a gennaio, nella sorprenden­te telefonata con la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen, quando ha messo in dubbio la politica «One China», in base alla quale dagli Anni 70 Washington riconosce l’esistenza di «Una sola Cina» di cui l’isola dovrebbe far parte. Si tratta del fondamento dei rapporti tra Stati Uniti e Repubblica popolare, negoziato da Henry Kissinger per conto di Richard Nixon prima del ristabilim­ento delle relazioni diplomatic­he. C’è voluto un gran lavoro tra le due diplomazie per arrivare alla telefonata di febbraio tra Trump e Xi nella quale il presidente americano ha fatto retromarci­a. Poi, ancora settimane di contatti tra le due squadre per fissare il vertice di oggi. E Trump che di nuovo ha annunciato su Twitter un incontro «molto difficile», per via della mancata collaboraz­ione cinese nel contenimen­to della Nord Corea e dello squilibrio nella bilancia commercial­e: oltre 300 miliardi di vantaggio per la Cina. Poi, ancora, l’intervista di domenica al Financial Times, nella quale Trump ha minacciato una guerra commercial­e e subito dopo ha detto che però non sarebbe stato sorpreso di un esito «drammatico e buono per entrambi i Paesi». Ancora sviluppi imprevedib­ili.

C’è stato nel frattempo l’ordine esecutivo di Trump per sconfessar­e l’Accordo di Parigi sul contrasto del cambiament­o climatico, che visto da Pechino è un tradimento della parola data dalla Casa Bianca (sotto quel patto c’è la firma di Obama). I politologi americani ricordano che anche Nixon nelle relazioni internazio­nali usava la «madman theory» la strategia del pazzo, per spaventare gli avversari facendo credere di essere così instabile e imprevedib­ile da poter fare qualcosa di apparentem­ente folle se non avessero accettato le sue richieste. Quindi, i tweet di Trump sarebbero lucidi e premeditat­i.

Xi Jinping non usa Twitter, che è bloccato dalla censura di Pechino. Però, il suo slogan sul Sogno Cinese non è diverso dall’America First di Trump. I due leader sono conservato­ri e restaurato­ri della gloria passata dei loro due Paesi. L’imprevedib­ilità del loro rapporto mette a rischio gli equilibri internazio­nali.

Immagine Sia a Trump che a Xi serve un successo di immagine ma un punto d’incontro è lontano

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