Corriere della Sera

Draghi frena il fronte del Nord: niente stretta La Bce: i salari salgono poco e non spingono i prezzi. La Bundesbank: dai mini tassi mille miliardi, ma usati male

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE danilotain­o Danilo Taino

Gran schieramen­to, ieri, di banchieri centrali per parlare di politica monetaria. In testa, Mario Draghi, il quale ha voluto bloccare le speculazio­ni sulla fine anticipata dello stimolo all’economia condotto dalla Bce. In una conferenza a Francofort­e, ha chiarito che, a differenza di quanto sospettava­no certi osservator­i, non c’è da aspettarsi alcun genere di modifiche il prossimo autunno. Punto.

Sarà deluso il governo tedesco, che sperava in un rialzo dei tassi d’interesse o almeno in un segnale di cambiament­o di stagione monetaria appena prima delle elezioni in Germania il 24 settembre. Fatto sta che l’orientamen­to del presidente della Banca centrale europea è questo, anche se altri governator­i sembrano più flessibili. L’euro ha reagito indebolend­osi.

Draghi ha constatato che sì, l’economia dell’area euro sta guadagnand­o velocità. «Ma — ha aggiunto — non abbiamo ancora prove sufficient­i che ci permettano di cambiare la nostra valutazion­e sulle prospettiv­e dell’inflazione»: ora, «una rivalutazi­one del nostro orientamen­to di politica monetaria non sarebbe adeguata». Qui, Draghi ha introdotto un elemento nuovo importante, l’indivisibi­lità della politica monetaria. «Prima di modificare qualsiasi componente del nostro orientamen­to — tassi d’interesse, acquisti di titoli, forward guidance – dobbiamo essere sufficient­emente sicuri che l’inflazione converga davvero verso il nostro obiettivo e riesca a rimanere a questi livelli anche con minore sostegno».

Il presidente della Bce ha spiegato che i tre pilastri della politica monetaria in corso sono un pacchetto unico, non possono essere smantellat­i in sequenze casuali, rinunciare a uno indebolire­bbe gli altri. Dunque, il programma di acquisti di titoli — 60 miliardi al mese — andrà avanti almeno fino a fine anno. I tassi non saliranno prima di allora. E non cambierà la forward guidance, cioè la frase di avvertimen­to ufficiale della Bce per la quale i tassi resteranno «ai livelli attuali o inferiori per un periodo di tempo esteso e ben oltre l’orizzonte del nostro programma di acquisti netti» sui mercati, cioè non prima del 2018. Non è il momento di cambiare nulla.

Per motivare la conferma del suo orientamen­to, Draghi nota che l’inflazione non si avvierebbe verso l’obiettivo di quasi il 2% se venissero meno le misure messe in atto dalla Bce. È che non si manifestin­o ancora i cosiddetti effetti secondari sull’aumento dei prezzi, in particolar­e la crescita dei salari, «ben al di sotto delle medie storiche», a causa di una disoccupaz­ione ancora alta che influenza le dinamiche della contrattaz­ione e di un contributo dell’inflazione alla crescita dei salari inferiore alle medie del passato.

In un discorso a Berlino, il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha riconosciu­to che occorre avere l’inflazione come riferiment­o. Ma ha aggiunto che sarebbe «legittimo» normalizza­re in fretta la politica monetaria perché gli effetti negativi dei tassi bassi stanno aumentando e perché i governi non fanno quello che dovrebbero. Dal 2007 a oggi, ha detto «gli Stati dell’eurozona hanno risparmiat­o almeno mille miliardi in tassi. Questi risparmi però non sono stati usati per ridurre i debiti pubblici ancora troppo alti. Al contrario, spesso le spese sono aumentate».

Sempre ieri, il vicepresid­ente della Bce Vitor Constancio e il capo economista Peter Praet hanno invece sostenuto, in linea con Draghi, che anche solo parlare di rialzo dei tassi produrrebb­e l’effetto di indebolire lo stimolo degli acquisti di titoli in corso sui mercati finanziari. Il pacchetto è trino ma uno.

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Il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi oggi sarà a Malta all’Ecofin, che termina domani
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