G8, l’Italia patteggia a Strasburgo Risarcite sei vittime di Bolzaneto
Riconosciuti gli abusi 16 anni dopo: 45 mila euro a testa per i danni morali e materiali
Era la sera del 25 luglio 2001. Quattro giorni dopo la fine del G8. Un giovane torinese chiamò le redazioni dei giornali. Raccontò di essere stato chiuso in una caserma dove erano avvenute cose terribili. «Ci hanno torturato». Piangeva. Poi riattaccò.
Come al solito ce lo dice l’Europa. Da solo, lo Stato italiano non ce l’ha mai fatta, ad ammettere l’evidenza di quel che subirono oltre duecento persone a Bolzaneto. Si trovavano in stato di fermo, affidati allo Stato. Anche per questo la notizia che il governo italiano ha riconosciuto i propri torti e un risarcimento economico per danni morali e materiali nei confronti di sei cittadini seviziati nella caserma Nino Bixio sulle alture di Genova ha un retrogusto amaro. Nell’ottobre del 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo disse a chiare lettere che anche i fatti avvenuti alla scuola Diaz configuravano il reato di tortura e invitava con forza l’Italia a introdurlo nel proprio ordinamento, condannandola per non averlo fatto fino a quel momento. Subito dopo, il governo Renzi avviò le trattative
Il vuoto normativo Nonostante i richiami internazionali, in Italia il reato di tortura continua a non esistere
con i 65 manifestanti reduci di Bolzaneto che avevano fatto ricorso a Strasburgo per la stessa ragione. Solo in sei hanno accettato, 45mila euro per rinunciare anche alla causa civile. Gli altri andranno avanti. Vogliono un’altra sentenza. Che se nulla cambia arriverà, nonostante l’accordo parziale.
«Riguardo alle giornate del 20 e 21 luglio 2001 citeremo in particolare il taglio di capelli imposto con la forza a Taline Ender, il capo spinto nella tazza del water a Ester Percivati, lo strappo della mano di Giuseppe Azzolina, le ustioni multiple con sigaretta sul dorso del piede a Carlos Balado, picchiato ripetutamente sui genitali, il terribile pestaggio di Mohamed Tabbach, persona con arto artificiale, l’etichettatura sulla guancia, come un marchio...» Quando nell’ormai lontano 2007 il pm Vittorio Ranieri Miniati fece in aula la lista delle atrocità commesse tra il 21 e il 22 luglio, a G8 finito, era già tutto chiaro. Picchiati, malmenati, seviziati. Costretti a strisciare per la caserma gridando che Che Guevara era un bastardo comunista, viva il Duce, viva Hitler. Con le ragazze minacciate di stupro, «Entro stasera con voi faremo come in Kosovo», le foto dei figli piccoli stracciate davanti alle madre, «tanto non li rivedrai più».
Il primo processo fu una battaglia persa in partenza per i pubblici ministeri e le vittime dei soprusi. Nel 1988 abbiamo ratificato la convenzione Onu contro la tortura, dimenticandoci di adeguare il codice penale. Nei 29 anni seguenti sono apparsi 11 diversi disegni di legge che avrebbero dovuto adeguare il nostro ordinamento al diritto internazionale. Le assoluzioni vennero ribaltate in appello il 5 marzo del 2010. Ma la prescrizione e l’indulto approvato dal second governo Prodi cancellarono quasi tutto. Fu subito chiaro che quella ingiustizia commessa ai danni anche di cittadini francesi, tedeschi, inglesi, non sarebbe passata sotto silenzio. Sarebbe bastato poco, per non essere considerati dalla Corte di Strasburgo alla stregua di un Paese sub-sahariano, come invece avvenne nel 2015. Ammettere le proprie colpe come Stato, a prescindere dalle responsabilità individuali, adeguarsi alla sentenza della Cassazione che nel 2013 definì i fatti di Bolzaneto come «un completo accantonamento dei principicardine dello Stato di diritto». E infine approvare una legge che colmasse quel vuoto.
Invece niente. Ci sono voluti 16 anni, per riconoscere almeno l’evidenza dei fatti. Nella risoluzione amichevole siglata ieri l’attuale governo si cosparge il capo di cenere. L’Italia riconosce le sue responsabilità nei maltrattamenti subiti dalle vittime e nell’inefficacia dell’inchiesta che era seguita agli eventi, dovuta alla mancanza di disposizioni normative adeguate a evitare il ripetersi di fatti simili. «Ci sentiamo come il Genoa al Santiago Bernabeu contro il Real Madrid» dissero i magistrati per riassumere la loro impotenza. È stata messa una toppa, con una specie di accordo tombale siglato con una piccola parte dei ricorrenti. Nonostante l’impegno preso a suo tempo via Twitter dall’allora premier Matteo Renzi, nonostante i continui e pressanti inviti, l’ultimo è dello scorso 13 marzo, formulato dal Consiglio d’Europa, in Italia il reato di tortura continua a non esistere. Adesso sembra almeno ci sia una mezza promessa ufficiale. Quel che invece non manca mai è la nostra consueta brutta figura da eterni pierini, che giungono al buon senso, o all’affermazione del diritto, solo quando i maestri dalla penna rossa di Strasburgo, o di Bruxelles, gli tirano le orecchie e li minacciano di ulteriori punizioni.