Giulia e il tè con la mamma nella casa risorta dal sisma
L’Aquila, il rito ripetuto da 8 anni: «È il nostro inno alla vita»
Eccole, sorridenti, mentre brindano con due tazze fumanti al loro ritorno a casa previsto per ottobre. Ogni 6 aprile, verso le 17, prendono il tè nella casa che il terremoto ha distrutto e che, lentamente, sta risorgendo. È un rito, un «inno alla vita», dicono mamma e figlia. Lo fanno da otto anni. Da quella terribile notte in cui il pavimento della stanza da letto dove dormivano cedette e, improvvisamente, si trovarono sepolte dai detriti e dalla polvere. Mezze morte. Concetta Giusti aveva quarant’anni, la figlia Giulia tre e mezzo.
«Dormivamo nel letto matrimoniale — racconta Concetta — mentre mio marito, Nazareno, che aveva il turno presto la mattina e non voleva disturbarci con la sveglia, era nella camera della bimba. La signora in nero ci aspettava al piano di sotto ma non è riuscita a prenderci». Ci sono tanti modi per evocare la morte, Concetta e la figlia la chiamano così. Non nominano più neanche il terremoto del 2009, diventato semplicemente T9. Il loro sorriso e la loro voglia di andare avanti sono l’arma per contrastare quel mostro che vive, ogni giorno, tra i ricordi impossibili da cancellare.
«I muri si aprirono e io sentii il pavimento inclinarsi e trascinarmi giù al piano di sotto — continua Concetta —, in un Ieri Giulia prende il tè con mamma Concetta nell’appartamento che sta riprendendo forma. In alto il suo disegno della casa distrutta attimo ci trovammo sepolte nelle macerie per metà del corpo e immerse nel buio più totale. Io con le costole rotte e una brutta ferita alla testa, la bambina con la tibia e il perone fratturati. “Mammina, ti prego, portami via di qui, non riesco a respirare”. C’era tanta polvere. «Resisti, devi essere forte come Mulan (il personaggio del film Disney, ndr), ora arriva papà e ci salva», le dicevo per rincuorarla. Ero terrorizzata, attorno a noi c’era solo silenzio. Mio marito accemmo corse dalla stanza a fianco, cadde anche lui in quella enorme buca ma, fortunatamente, non si fece così male da non poterci liberare».
L’appartamento in cui vivevano Concetta, Nazareno e Giulia è al secondo e ultimo piano di una casa in via degli Alemanni, a venti metri dal palazzo della Prefettura, la cui immagine di distruzione è diventata uno dei simboli di quel terremoto. «L’avevamo ristrutturato alcuni anni prima ma, fortunatamente, non rifa- il tetto. Era in legno, leggero quindi, e ci ha salvato la vita». Dopo il sisma si sono trasferiti a Pagliare di Sassa, frazione poco distante. Una sistemazione temporanea, quella nelle «new-town», in attesa di rientrare in centro storico. Sono trascorsi però già otto anni.
Giulia ne ha compiuti undici. Non ricorda molto di quella terribile esperienza che come tanti altri bambini ha provato a descrivere, con l’aiuto degli psicologi, cercando di esorcizzare