Ticket sanitari in base al reddito
Caro Aldo, secondo l’ipotesi allo studio della ministra Lorenzin, i ticket sanitari si potrebbero pagare in futuro per fasce di reddito. Perché complicare ulteriormente il complesso sistema fiscale con una tassa aggiuntiva sulla sanità pubblica per i redditi più alti? Complicare gli adempimenti civili e fiscali mi sembra l’ennesimo espediente per eludere la coerente attuazione della nostra Costituzione sulla progressività fiscale chiaramente prevista.
Antonio Iadicicco
I ticket sanitari variano da Regione a Regione: ad esempio, in Veneto sono più bassi che in Toscana. Bisognerebbe invece fare una distinzione fra le cure indispensabili e quelle che non lo sono e che servono solo a far guadagnare i farmacisti e a dare lavoro ai medici ospedalieri. E perché, poi, chi ha reddito sufficiente deve avere cure gratis?
Maria Teresa Dadduzio
I ticket sanitari sono un sopruso: i cittadini pagano già la sanità con l’Irpef e non si capisce perché debbano pagare due volte la stessa prestazione peraltro sempre più vicina al 100%. Le tariffe delle prestazioni sanitarie continuano a gonfiarsi, tanto che oggi è quasi più conveniente rivolgersi a enti privati, anziché seguire la complicata burocrazia di una visita dal proprio medico per avere l’impegnativa sanitaria.
Mauro Sabellico
Condivido l’idea di fondo di far pagare un po’ di più i ricchi per garantire l’assistenza sanitaria ai più poveri, ma vorrei si evitasse di attuare progetti iniqui e ingiusti, cioè senza un’efficace lotta all’evasione fiscale.
Giuseppe M. Guglielmetti
Il pagamento del ticket è già differenziato in base al reddito: gli onesti — vedi pensionati — pagano tutto mentre i disonesti non pagano.
Chiara Forti Cari lettori, far pagare esami e medicine in base al reddito sarebbe giusto. Ma le dichiarazioni dei redditi non fotografano la ricchezza degli italiani; solo di chi non può evadere. Per questo l’idea della ministra Lorenzin è sommamente ingiusta. Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579
lettere@corriere.it letterealdocazzullo @corriere.it
Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
i casi di violenza gravissima con morti si susseguono ogni giorno: sembra di vivere nel Far West. Occorrerebbero processi per direttissima con pene esemplari per dimostrare che la violenza non paga. Ma è ragionevole che ciò possa avvenire in un Paese come l’Italia dove la giustizia non funziona?
Caro Riccardo,
Non credo che la pena debba essere esemplare. Credo che debba avere tre funzioni: preventiva, per evitare che il reo torni a delinquere; redentiva, per tentare di recuperarlo e reinserirlo nella società; e anche retributiva, affinché paghi per il male compiuto. In Italia a volte nessuna delle tre funzioni viene garantita. Leggo sui quotidiani alcuni dati. Nel 2015 sono state arrestate 10.203 persone per rapina: la metà di loro è già libera, e non erano tutti innocenti. Gli arrestati del 2016 sono più o meno gli stessi, 10.139; il 40% è fuori. E parliamo di rapine i cui autori sono stati scoperti. Ma il 75% delle rapine resta senza colpevole. La possibilità di farla franca è molto elevata. Di fronte a simili cifre, serve poco far notare che i delitti di sangue sono in diminuzione (il che è vero).
Viene da chiedersi: com’è possibile che la situazione non cambi, anche se l’opinione pubblica ha un orientamento sempre più severo? Una parziale risposta mi è venuta l’altro giorno. Ero a una discussione pubblica sulle violenza contro le donne. Un professore di Filosofia teoretica ha sostenuto, citando Platone (o la propria interpretazione), che applicare la giustizia a un fatto ingiusto significa commettere un’ingiustizia. Il pubblico era stupefatto. Ma subito dopo due accademici sono intervenuti ammiratissimi, dicendosi «molto d’accordo». Il pubblico è andato via disorientato, pensando: se questi luminari pensano così, forse sono io che sbaglio. Ma no, non c’è nulla di più ingiusto che lasciare un criminale impunito. Come Oleg Fedchenko, il pugile ucraino che dopo aver litigato con la fidanzata è sceso per strada a Milano deciso a uccidere a pugni la prima donna che avrebbe incontrato. In quel modo atroce è morta Emlou Arvesu, filippina che tornava dal lavoro. L’assassino, estradato dopo due anni e mezzo di ospedale psichiatrico e subito liberato, non ha fatto un giorno di carcere, non ha pagato un euro di risarcimento. Non credo che Platone esulterebbe. I nostri accademici sì.