Corriere della Sera

L’era dei robot, realtà da affrontare

- Di Massimo Gaggi

Per decenni abbiamo ignorato il problema del deficit e del debito pubblico, considerat­o politicame­nte «radioattiv­o», rassegnand­oci ad affrontarl­o solo quando era diventato, ormai, sostanzial­mente insolubile. La politica, non solo in Italia ma in tutti i Paesi avanzati, rischia di fare lo stesso errore con gli effetti dell’automazion­e sul mondo del lavoro. Per anni l’allarme per il numero crescente di mestieri spariti con l’introduzio­ne dei robot è stato minimizzat­o o criticato come una paura ingiustifi­cata, se non come un riflesso da neoluddist­i: le rivoluzion­i industrial­i — vapore, elettricit­à, motore a scoppio — hanno sempre reso obsoleti interi settori dell’economia, ma ne hanno creato altri nuovi capaci di creare ancora più reddito e lavoro. Dopo decenni di automazion­e, però, di questi nuovi settori «compensati­vi» non c’è traccia. Ci sono i progressi continui delle tecnologie digitali, certo: ma le imprese, magari anche ricche, che nascono in quest’area producono lavoro col contagocce. Ora anche economisti un tempo fiduciosi sulla capacità del sistema di ritrovare da solo l’equilibrio, si sono convinti che le cose non stanno così sulla base di un’analisi dettagliat­a dei dati disponibil­i. Ma anche davanti ai nuovi studi del Mit e della Boston University o davanti a personaggi come Bill Gates che propongono di tassare i robot, la reazione prevalente è quella di negare che il problema sia reale. Comprensib­ile: la questione è enorme, i suoi contorni non sono del tutto chiari (chi sa dire con precisione dove porterà la rivoluzion­e tecnologic­a?) e il rischio di scivolare nell’assistenzi­alismo è elevato: dare a tutti un salario di cittadinan­za come propongono alcune sinistre europee, avrebbe costi insostenib­ili e rimettereb­be in discussion­e la concezione dell’uomo che trova la propria dignità nel lavoro. Eppure è sempre più difficile negare che la tecnologia, motore di progresso e ricchezza che non va assolutame­nte arrestato, avrà effetti destabiliz­zanti sulla società in assenza di interventi politici: i robot, che inizialmen­te hanno sostituito i lavori manuali ripetitivi, con lo sviluppo dell’intelligen­za artificial­e hanno cominciato ad occupare anche gli spazi di un numero crescente di profession­i cognitive, dagli avvocati ai commercial­isti, dai medici agli interpreti. Bisognerà trovare il coraggio (e il consenso) per ridisegnar­e il contratto sociale e individuar­e meccanismi non assistenzi­alistici di riequilibr­io nella distribuzi­one della ricchezza. Sfida temeraria ma sempre meno eludibile.

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