L’era dei robot, realtà da affrontare
Per decenni abbiamo ignorato il problema del deficit e del debito pubblico, considerato politicamente «radioattivo», rassegnandoci ad affrontarlo solo quando era diventato, ormai, sostanzialmente insolubile. La politica, non solo in Italia ma in tutti i Paesi avanzati, rischia di fare lo stesso errore con gli effetti dell’automazione sul mondo del lavoro. Per anni l’allarme per il numero crescente di mestieri spariti con l’introduzione dei robot è stato minimizzato o criticato come una paura ingiustificata, se non come un riflesso da neoluddisti: le rivoluzioni industriali — vapore, elettricità, motore a scoppio — hanno sempre reso obsoleti interi settori dell’economia, ma ne hanno creato altri nuovi capaci di creare ancora più reddito e lavoro. Dopo decenni di automazione, però, di questi nuovi settori «compensativi» non c’è traccia. Ci sono i progressi continui delle tecnologie digitali, certo: ma le imprese, magari anche ricche, che nascono in quest’area producono lavoro col contagocce. Ora anche economisti un tempo fiduciosi sulla capacità del sistema di ritrovare da solo l’equilibrio, si sono convinti che le cose non stanno così sulla base di un’analisi dettagliata dei dati disponibili. Ma anche davanti ai nuovi studi del Mit e della Boston University o davanti a personaggi come Bill Gates che propongono di tassare i robot, la reazione prevalente è quella di negare che il problema sia reale. Comprensibile: la questione è enorme, i suoi contorni non sono del tutto chiari (chi sa dire con precisione dove porterà la rivoluzione tecnologica?) e il rischio di scivolare nell’assistenzialismo è elevato: dare a tutti un salario di cittadinanza come propongono alcune sinistre europee, avrebbe costi insostenibili e rimetterebbe in discussione la concezione dell’uomo che trova la propria dignità nel lavoro. Eppure è sempre più difficile negare che la tecnologia, motore di progresso e ricchezza che non va assolutamente arrestato, avrà effetti destabilizzanti sulla società in assenza di interventi politici: i robot, che inizialmente hanno sostituito i lavori manuali ripetitivi, con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale hanno cominciato ad occupare anche gli spazi di un numero crescente di professioni cognitive, dagli avvocati ai commercialisti, dai medici agli interpreti. Bisognerà trovare il coraggio (e il consenso) per ridisegnare il contratto sociale e individuare meccanismi non assistenzialistici di riequilibrio nella distribuzione della ricchezza. Sfida temeraria ma sempre meno eludibile.