Corriere della Sera

«Cucino per provare che il mio Iraq non è solo guerra»

Lo chef Philip Juma, a Firenze per il «Middle east Now», e il successo dei suoi locali pop up

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Francesco Bittinelli, il Country manager di Guinness. Dal punto di vista dell’acqua, insomma, la Guiness è una. È vero però che la Guinness non deve stare ferma: «In un pub in cui ci sia poca richiesta, se la birra rimane per qualche giorno nel tubo, può sembrare diversa». Anche le lattine vengono da St. James gate, ma per la Guinness la spillatura è sacrale. Proprio per questo, nelle lattine si trova la famosa pallina di plastica, il «widget», che ha il compito di agitare le molecole di carbo-azoto che formano la schiuma di seta della birra. E proprio per questo, a Dublino hanno inventato la “surger”: una base su cui si mette il bicchiere di una Guinness versata dalla lattina. La base emette ultrasuoni che eccitano il gas per andare a formare la leggendari­a schiuma. E la Nigeria che stato a Mosul una volta soltanto, quando aveva un anno, ma la città irachena che i jihadisti dell’Isis hanno trasformat­o in una propria roccaforte è la patria di suo padre, e quindi anche un po’ la sua. Philip Juma celebra con la sua cucina un Iraq diverso da quello che si vede in tv: il Paese che ha conosciuto da bambino attraverso il cibo preparato dal papà. «Si tratta della cucina Muslawi, tipica della zona di Mosul», dice lo chef trentatree­nne al Corriere della Sera, al telefono da Londra. Suo padre giunse in Gran Bretagna da studente nel 1971, e qui conobbe la madre di Philip, che è irlandese. «Il mio più vivido ricordo d’infanzia? Avrò avuto sette-otto anni. Papà entrava nella stanza da pranzo reggendo un enorme vassoio di metallo, coperto da una padella rovesciata. Io, mio fratello, la mamma e le zie stavamo seduti intorno al tavolo. E poi lui rivelava il Dolma: foglie di vite, cipolle, zucchine, melanzane, peperoni tutti ripieni di riso misto a carne tritata d’agnello, cardamomo, cannella, coriandolo, noce moscata, chiodi di garofano, melassa di melograno. Quel profumo, il fumo, il colore…. wow, pensavo, non vedo l’ora di mangiarlo. Adesso è uno dei piatti che preparo nelle mie cene pop-up, rivelandol­o sempre in quel modo teatrale».

Philip Juma è il fondatore dei ristoranti pop-up «Juma Kitchen», che stanno spopolando a Londra. Oggi e domani sarà a Firenze tra gli ospiti dell’ottava edizione di «Middle East Now», festival dedicato al cinema e alle culture del Medio Oriente. Domani terrà un corso di cucina irachena alla Scuola di arte culinaria Cordon Bleu (dalle 10.30 alle 14) mentre stasera preparerà una «Iraqi pop-up dinner» presso «Ditta Artigianal­e». Oltre al Dolma, che viene servito con costolette d’agnello, tra le sue specialità ci sono il Kubba Mosul, un tortino rotondo e schiacciat­o di farina di bulgur, carne tritata d’agnello e noci, e il famoso quozi, un intero agnello ripieno di noci, carne tritata, ribes, verdure e spezie servito su un letto di riso, che si mangia tipicament­e ai matrimoni e ad altre feste importanti. Per dessert lo chef ama offrire i kleicha, biscotti al cardamomo pieni di datteri o di pasta di noci. Piatti impegnativ­i, che richiedono ore di preparazio­ne (per il Dolma sono 6-7), e le porzioni sono abbondanti, perché «la generosità col cibo è un tratto distintivo iracheno».

Juma ha intrapreso la strada dello chef cinque anni fa, dopo aver lasciato la City, dove si

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