Corriere della Sera

LA GIOIA DELLE LINGUE

- Di Murakami Haruki

Naomi Okubo (Tokyo, 1985), Camping - Window display (2016, acrilico su tela, particolar­e), courtesy dell’artista / Gallery MoMo, Tokyo ono molti anni che io stesso traduco opere letterarie dall’inglese al giapponese, quindi ho un profondo interesse per il modo in cui i miei libri vengono tradotti nelle varie lingue del mondo. Inoltre so bene quanti problemi comporti la traduzione, quindi provo una profonda gratitudin­e per tutti i traduttori che in vari Paesi mi traducono, e al tempo stesso, se si presenta l’occasione di fare qualcosa per loro, per quanto è in mio potere sono lieto di farlo. Così sono veramente felice che Antonietta Pastore abbia ricevuto il premio Noma per la Traduzione letteraria per la versione italiana del mio romanzo L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrina­ggio. Ripeto, la traduzione è un lavoro che comporta molti problemi. Occorre leggere il testo senza fretta, con attenzione; un testo in cui ci sono molte parole e espression­i che non si possono rendere bene in un’altra lingua. Inoltre, per quanto scrupolo si metta nel controllar­e, è difficile che non ci siano dei fraintendi­menti. Succede di accorgersi solo dopo di aver fatto un errore, e di balzar fuori dal letto in piena notte. È un lavoro che richiede tempo, e logora i nervi. Spesso mi domandano perché io faccia delle traduzioni, malgrado sia un lavoro tanto difficolto­so. La mia risposta è: perché c’è nel tradurre una grande gioia. La gioia di trasformar­e nella lingua del proprio Paese, e far conoscere ai lettori, storie bellissime scritte in una lingua straniera; la gioia di trasmetter­e vividament­e i pensieri e le emozioni che provano le persone, al di là del muro della lingua e delle consuetudi­ni. È una gioia che difficilme­nte si può sostituire con qualcos’altro. Nella seconda metà degli anni Ottanta, quando vivevo in Italia, non era ancora stato tradotto in italiano nessuno dei miei libri. Vivevo in una villa nella periferia romana, giovane scrittore giapponese sconosciut­o, e giorno dopo giorno scrivevo il romanzo Norvegian Wood. La luce del sole che mi inondava in quei giorni, l’odore del vento che respiravo… ancora oggi li ricordo in modo vivissimo. E naturalmen­te il sapore della pasta che mangiavo. Adesso ventidue mie opere sono tradotte in italiano. Tanti sono i lettori che li prendono in mano. Tornando indietro di trent’anni, se considero questa cosa con gli occhi del giovane scrittore sconosciut­o che ero allora, mi sembra un miracolo. Ai traduttori che hanno permesso questo miracolo mettendoci tempo e grande passione — a cominciare da Antonietta Pastore —, desidero esprimere con tutto il cuore la mia riconoscen­za. Grazie.

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