«Nasce la guerra indiretta»
Strobe Talbott, presidente del più autorevole think tank di Washington: «Con l’intervento in Siria siamo a una sorta di guerra per procura, indiretta, contro la Russia, tra le due potenze. Che ha sorpreso tutti, anche Mosca».
«Il cambio di rotta di Trump con l’intervento in Siria e il peggioramento dei rapporti con la Russia — qui siamo alla proxy war, una specie di guerra per procura — ha sorpreso tutti, anche Mosca. Il nuovo presidente sembra rendersi conto che certe posizioni che l’avevano aiutato a vincere le elezioni non sono utili per governare».
Strobe Talbott non è tipo da farsi prendere in contropiede: presidente della Brookings Institution, il più autorevole think tank di Washington, ha alle spalle una lunga esperienza diplomatica. Negli anni Novanta, da vicesegretario di Stato, negoziò anche con Putin quando l’allora presidente Bill Clinton gli affidò i rapporti con la Russia post-sovietica.
Cosa la colpisce di più, l’abbandono dei toni cordiali con Mosca o la scelta di infilarsi in un conflitto che Trump sembrava
L’offensiva contro Damasco spalleggiata dal Cremlino crea una situazione di guerra per procura con la Russia
deciso a evitare come la peste?
«È un capovolgimento repentino di quanto da lui sostenuto per un anno e mezzo. Ma è anche un’azione isolata, per ora. Difficile capire, individuare una logica, quando sei davanti a un singolo fatto. Serve un contesto e Trump per ora non ha detto nulla sulla sua strategia. Ci sono, però, alcuni punti fermi. Intanto, nonostante la retorica dell’America First e un atteggiamento neoisolazionista, davanti ai nuovi bombardamenti chimici il presidente ha capovolto la sua posizione scavalcando addirittura Obama che aveva sempre avuto un atteggiamento molto prudente sulla Siria. La sorpresa sta proprio qui: Trump si era detto ancor più deciso a tenersi alla larga dal pantano siriano. Invece ora c’è dentro. E con lui gli Stati Uniti».
È anche conseguenza dello scontro consumatosi alla Casa Bianca col ridimensionamento dell’ideologo Steve Bannon, alfiere dell’isolazionismo, mentre si è rafforzata l’ala «globalista» di Kushner e degli ex militari?
«Non darei giudizi definitivi. Bannon è fuori dal Consiglio per la sicurezza nazionale, ma resta a fianco del presidente: non trovo prove di una sua imminente uscita di scena».
Però un «falco» interventista come John McCain, fino a ieri tagliato fuori, torna a essere sentito tutti i giorni dalla Casa Bianca e ora sostiene che il governo sta valutando mosse anche in Ucraina: fornire a Kiev «sistemi difensivi letali», cioè armi. Possibile?
«Qui entriamo nel terreno delle speculazioni. Con un leader così imprevedibile tutto è possibile. Dobbiamo guardare alle figure più stabili: gli ex generali Mattis e McMaster. Hanno esperienza e familiarità nell’uso del potere militare. L’altra notte l’hanno dimostrato. E poi il segretario di Stato Tillerson. Sue le parole più significative, quelle che indicano l’ampiezza della divaricazione creatasi col Cremlino: sull’uso delle armi chimiche da parte di Assad, ha detto, i russi si sono mostrati rozzamente incompetenti o irresponsabili. Erano i garanti dell’accordo del 2013 sulla distruzione dell’arsenale chimico di Damasco. Ma Assad ha ripreso a bombardare col gas. Nonostante la massiccia presenza militare russa in Siria: non possono dire di non saper nulla. Certo è paradossale che a richiamarli alle loro responsabilità sia uno come Trump che fino a ieri insolentiva i suoi alleati e cercava un rapporto più stretto con Mosca».
Ora teme incidenti militari in Siria tra Usa e Russia?
«Vedremo gli sviluppi. L’offensiva contro Assad, spalleggiato con grande determinazione dal Cremlino, crea come dicevo una situazione oggettiva di proxy war, un conflitto indiretto tra le due potenze».
Lei ha parlato anche di un paradosso ideologico.
«Quando era segretario dell’Onu, Kofi Annan chiese alla comunità internazionale di assumersi la responsabilità di proteggere, dal Ruanda al Kosovo, i popoli martoriati dai loro stessi governi. Gli idealisti erano a favore. Gli altri no. Ora, almeno per un giorno, di quella visione idealistica si è fatto interprete un personaggio come Trump».