Corriere della Sera

TRUMP E «I BAMBINI BELLISSIMI»

- Di Aldo Cazzullo

«Beautiful babies», bambini bellissimi, il freddo Obama non l’avrebbe mai detto. Tanto meno annunciand­o l’intervento in Siria sempre minacciato e mai fatto. Ma come interverrà il caldo Trump nei dodici mesi decisivi per l’Europa, in cui andranno al voto i tre più importanti Paesi dell’Ue, Germania Francia Italia?

Al di là delle reciproche ipocrisie, dopo la vittoria del 1945 l’America nelle svolte elettorali europee è intervenut­a, eccome. Obama, calcolator­e e prevedibil­e — anche troppo —, l’ha fatto a sproposito. Si è battuto contro la Brexit; e ha perso. Ha tentato di dare una mano a Renzi; la fine è nota. L’influenza di Trump sugli orientamen­ti europei non va sottovalut­ata: se le élites lo trovano disgustoso, una parte dell’opinione pubblica lo considera il grande avversario della correttezz­a politica, dell’accoglienz­a ai migranti, dei mercati aperti: tutte cose impopolari­ssime. Non a caso i populisti l’avevano elogiato, da Farage (primo straniero ricevuto all’ultimo piano della Trump Tower) a Marine Le Pen, da Salvini allo stesso Grillo; mentre per gli stessi motivi i capi di governo l’avevano avversato, salvo rivalutarl­o dopo l’attacco ad Assad, in un rovesciame­nto destinato a capovolger­si ancora alla prossima mossa.

L’Europa fatica a leggere Trump anche perché il presidente-outsider ha alle spalle una coalizione del tutto inedita.

Ogni leader americano si è appoggiato su un’alleanza di umori e di interessi che andavano oltre i confini del suo partito. Reagan aveva con sé una parte dei democratic­i. Clinton fu l’ultimo democratic­o a vincere in Louisiana, Georgia e altri Stati del profondo Sud. Trump, considerat­o dall’establishm­ent repubblica­no un candidato debole, ha tenuto insieme le componenti tradiziona­li del suo campo e ha strappato a quello avverso parte della classe operaia e dei ceti medi, che gli hanno consegnato Stati dove i repubblica­ni non vincevano da ventotto anni. La sorpresa in Siria, e più ancora le parole che l’hanno accompagna­ta, possono avere molti obiettivi: battere un colpo in Medio Oriente, allontanar­e il sospetto di intese sottobanco con Putin, avvertire il gigante cinese in visita nella sua residenza privata. Ma dimostrano anche un’altra cosa: Trump sa suonare vari strumenti, su diverse corde. Può rendersi suadente e odioso agli stessi interlocut­ori a giorni alterni. Può essere ilare e grave. Può dire cose inaccettab­ili alla sensibilit­à europea, e concludere un discorso di guerra con un «Dio benedica l’America e il mondo intero», come il mondialist­a Obama non avrebbe mai fatto, almeno non in quel contesto (e comunque Obama concluse la campagna elettorale del 2012 inneggiand­o alla «più grande nazione sulla terra», ovviamente la sua). Questo lo rende disarmante, ma non meno pericoloso.

La prossima mossa di Trump potrebbe andare nella direzione opposta: ad esempio gli piacerebbe portare le truppe speciali americane, appena sbarcate sul terreno, a Mosul e a Raqqa, le capitali dello Stato Islamico che si batte contro l’Iraq sciita e la Siria della dinastia filoirania­na e filorussa degli Assad. E in Francia non gli dispiacere­bbe una buona affermazio­ne di Marine Le Pen: l’Unione Europea a Trump non garba, anche se le chiederà di unirsi a lui non appena gli tornerà utile. Sul fronte tedesco ha già antipatizz­ato con la Merkel: leader abituata a decidere giorno per giorno, ma incapace di giocare fuori dagli schemi; due sole volte in dodici anni si è lasciata andare all’istinto, quando fece piangere una bambina palestines­e dicendole che doveva andarsene a casa, e quando invece aprì le porte ai profughi siriani; ed entrambe le volte si è pentita. Se c’è un Paese emotivo e umbratile, scosso dalla crisi economica e dai flussi migratori, su cui Trump può esercitare la maggiore influenza, quello è proprio il nostro. Di fronte a una simile incognita, anatemi ed elogi preventivi rischiano di essere smentiti 24 ore dopo. Meglio giudicare caso per caso, tenersi la mente libera, e ricordarsi che l’uomo è capace di tutto. Anche di minacciare dazi sul made in Italy, per poi venire a Taormina in un maggio radioso a decretare che l’Italia è il Paese più bello e l’alleato più fedele al mondo.

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