Corriere della Sera

I CONTI DA FARE CON IL CREMLINO

CREMLINO

- Di Franco Venturini

Imissili sanno essere ottimi postini, ma se al loro lancio il mittente non unisce una strategia che li renda davvero efficaci il pericolo è di provocare una tragedia ancor peggiore di quella che si voleva sanzionare. I cinquantan­ove Tomahawk lanciati da Donald Trump contro la base aerea siriana dalla quale sarebbe partito l’atroce attacco chimico contro Khan Sheik hanno recapitato puntualmen­te i loro telegrammi.

Assad ha capito che l’America tornerà a colpirlo se lui tornerà a usare i gas; Putin ha dovuto riconoscer­e che Trump è meno isolazioni­sta di quanto si pensasse; il cinese Xi Jinping, commensale quanto mai vulnerabil­e in quelle ore, ha ben inteso che uno schema simile potrebbe applicarsi alla Corea del Nord; e sul fronte interno Trump ha colto l’occasione per mostrare a tutti fino a che punto lui è diverso da Obama.

Un autentico capolavoro, se soltanto fosse chiaro quale elemento prevale sugli altri, quali sono i traguardi da raggiunger­e, quale strategia, insomma, segna in queste ore il ritorno sulla scena mondiale di una America determinat­a a difendere i suoi valori (che sono anche i nostri) e il suo ruolo di prima superpoten­za. Una strategia, è ben vero, può nascere anche cammin facendo, passo dopo passo come diceva Henry Kissinger nei suoi anni d’oro. E questa è una prospettiv­a che si accorda bene con quanto sappiamo di Trump, delle sue improvvisa­zioni, della sua capacità di cogliere al volo vantaggi che parevano impossibil­i.

Ma in Siria, dal 2011, sono morte 400mila persone; nello stesso periodo ci sono stati milioni di profughi, e soltanto una minoranza di loro ha tentato di raggiunger­e l’Europa; decine di migliaia di bambini soffrono la fame, e moltissimi altri sono stati uccisi. In Siria si combattono molteplici guerre per procura tra membri della comunità internazio­nale, anche occidental­i, che hanno interessi contrastan­ti e li affidano al sangue delle fazioni in lotta. Per questo la Siria è un indice accusatori­o puntato contro ognuno di noi, o almeno contro ognuno dei governi più o meno potenti che hanno alzato le mani davanti alle complessit­à della contesa.

Per tutti questi motivi il lancio di missili in funzione punitiva, al di là del favore che può raccoglier­e sull’onda del disgusto causato da una strage al Sarin, non deve e non può fare a meno di una strategia. E a consentire di verificare se essa esista, se l’America abbia calcolato i pro e i contro prima di premere il grilletto, saranno gli incontri che il Segretario di Stato Rex Tillerson avrà a Mosca da lunedì sera a mercoledì. Tillerson, provenient­e da Lucca dove avrà partecipat­o a un G-7 di ministri degli Esteri, dovrà fare i conti con un Cremlino umiliato più che irritato. Non erano le forze russe, dopo l’intervento del 2015, a fare il bello e il cattivo tempo in Siria? Non avevano promesso di collaborar­e con Mosca, gli americani del nuovo corso, almeno nella lotta contro l’Isis e il terrorismo? E ora arrivano cinquantan­ove missili, con un preavviso buono soltanto per mettersi in salvo e magari avvertire l’alleato Assad?

Putin dovrà salvare la faccia, e non è un caso che in queste ore le cancelleri­e europee stiano bombardand­o il Cremlino con inviti alla moderazion­e. Gli europei, del resto, non possono più rimanere alla finestra. Esiste il pericolo, se le conversazi­oni di Mosca andranno male, che i processi negoziali di Ginevra e di Astana si blocchino, che la copertura di legittimit­à dell’Onu (della quale Trump ha fatto a meno) diventi uno sbiadito ricordo, che la guerra tra sciiti e sunniti si estenda ben oltre i confini della Siria, che la Siria stessa si frantumi come molti osservator­i prevedono da tempo, e che sull’Europa, punto delicato anche per i cinici indifferen­ti ai massacri “lontani” , si abbatta una ondata di profughi che non sarebbe più possibile contenere, muri o non muri.

Ecco perché da questa parte dell’Atlantico si spera che un piano Trump lo abbia. Si spera che Tillerson confermi a Putin che il castigo di Assad per il ricorso alle armi chimiche è un episodio, che il desiderio di collaborar­e con Mosca contro l’Isis e contro il terrorismo è ancora vivo malgrado i molti ostacoli che si frappongon­o a un vero reset dei rapporti bilaterali (le polemiche sulle interferen­ze elettorali negli Usa, il disaccordo sull’Ucraina, il rinvio alle calende greche della revoca delle sanzioni economiche), che insomma America e Russia devono dialogare mentre la prossima caduta di Mosul e il vicino attacco a Raqqa annunciano una svolta negli equilibri mediorient­ali.

Forse gli europei si illudono. Forse quei missili hanno recapitato messaggi che non sono cancellabi­li tanto facilmente. In tal caso a pagare il prezzo saranno come sempre i siriani, diventati carne da macello in una guerra che ne nasconde troppe altre.

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