Milano ricorda (troppo) Londra
Il confronto a Cernobbio. Tra Brexit e tenuta nell’euro, il rischio della distanza
Milano ha trovato un equilibrio precario ma perfetto: si è creata un’accelerazione che sta facendo di una città in crescita civile e produttiva il punto di riferimento del Paese. Lo dice lo studio dell’impatto per riconvertire l’Area Expo presentato al Forum Ambrosetti di Cernobbio.
Più passa il tempo, più Milano ricorda Londra. Se qualcuno lo avesse sostenuto anche pochi anni fa, avrebbe riempito d’orgoglio i suoi abitanti. Oggi invece potrebbe farli anche riflettere. Come la capitale del Regno Unito venticinque anni fa, il capoluogo lombardo sembra aver trovato un equilibrio precario ma perfetto nel quale le imprese, le associazioni e le istituzioni in mano a qualunque parte politica cooperano senza troppe riserve. Tutte impegnate nell’interesse di una città in crescita civile e produttiva. Si è creata un’accelerazione spontanea che sta facendo di un agglomerato urbano il punto di riferimento di un intero Paese, il luogo dove convergono sempre più persone dinamiche e produttive.
Lo studio dell’impatto del progetto per riconvertire l’Area Expo, presentato ieri al Forum Ambrosetti di Cernobbio dall’ex ministro Enrico Giovannini, non fa che confermarlo. Dev’essersi decisamente innescata una dinamica favorevole, se nessun partito cerca di disfare quanto fanno i suoi avversari nell’interesse dei milanesi. Il Parco della ricerca, del sapere e dell’innovazione dovrebbe portare un indotto di 6,9 miliardi di euro di fatturato in più in un decennio e 6.700 posti di lavoro nei primi quattro anni, secondo le stime del rapporto di Arexpo e Studio Ambrosetti. Solo previsioni e stime, naturalmente, sulla base di variabili ora impossibili da controllare. Ma fa parte dell’aria del tempo. Raccogliere in un’unica area ristrutturata il centro di ricerche Human Technopole, l’Università Statale e un centro ospedaliero non potrà che attrarre ancora più talenti e moltiplicarne l’impatto. Milano sta diventando il magnete del meglio del Paese e non è facile spiegare a molti degli invitati stranieri che ogni anno arrivano a Villa d’Este sul Lago di Como che questa è la stessa Italia che leggono nei grafici della sala del Forum Ambrosetti: la produttività che resta indietro su quella di qualunque altra economia europea, la competitività perduta, il fatturato dell’industria caduto del 25% in pochi anni, i timori che i mercati forzino l’uscita di un Paese così indebitato dall’area euro se dalle elezioni si arrivasse uno choc “populista” (quasi nessuno a Cernobbio osa chiamare per nome i Cinque Stelle).
Anche in questo Milano potrebbe essere come Londra. Non solo il faro guida di una comunità nazionale, ma un punto così avanzato da risultare distante da tutti gli altri. Con il 13% della popolazione, l’area della capitale britannica esprime il 22% del prodotto lordo del Regno Unito; con il 5,3% degli abitanti della Penisola, l’area metropolitana milanese pesa per il 10,3% di quello italiano. I paralleli naturalmente non finiscono qua, perché questa accumulazione di cultura, competenze e successo economico limita fatalmente in entrambe le città l’interesse per l’avventurismo politico e le proposte antisistema. A Londra fino al 75% dei residenti aveva votato contro la Brexit e per restare nell’Unione europea, eppure la città più dinamica è stata messa in minoranza dalla rivolta del resto del Regno. A Milano la maggioranza aveva votato per il “Sì” al referendum costituzionale — anche qui un caso quasi isolato fra i grandi centri — mentre alle comunali del 2016 il Movimento 5 Stelle è arrivato quarto con appena il 10,3%.
Di qui gli scenari alternativi disegnati dietro le quinte da alcuni dei responsabili europei in questi giorni a Cernobbio: forse Milano sarà abbastanza forte da trascinare in avanti l’intero Paese nella ripresa economica e in un nuovo clima di cooperazione fra partiti e istituzioni, sul modello di Arexpo; o forse, come Londra, si troverà così isolata e diversa da aver paura che il resto del Paese finisca per tirarla indietro. Sarebbe una versione italiana delle linee di frattura già aperte in seno alle nazioni europee, come nei casi di Scozia e Catalogna.