Corriere della Sera

Milano ricorda (troppo) Londra

Il confronto a Cernobbio. Tra Brexit e tenuta nell’euro, il rischio della distanza

- Di Federico Fubini

Milano ha trovato un equilibrio precario ma perfetto: si è creata un’accelerazi­one che sta facendo di una città in crescita civile e produttiva il punto di riferiment­o del Paese. Lo dice lo studio dell’impatto per riconverti­re l’Area Expo presentato al Forum Ambrosetti di Cernobbio.

Più passa il tempo, più Milano ricorda Londra. Se qualcuno lo avesse sostenuto anche pochi anni fa, avrebbe riempito d’orgoglio i suoi abitanti. Oggi invece potrebbe farli anche riflettere. Come la capitale del Regno Unito venticinqu­e anni fa, il capoluogo lombardo sembra aver trovato un equilibrio precario ma perfetto nel quale le imprese, le associazio­ni e le istituzion­i in mano a qualunque parte politica cooperano senza troppe riserve. Tutte impegnate nell’interesse di una città in crescita civile e produttiva. Si è creata un’accelerazi­one spontanea che sta facendo di un agglomerat­o urbano il punto di riferiment­o di un intero Paese, il luogo dove convergono sempre più persone dinamiche e produttive.

Lo studio dell’impatto del progetto per riconverti­re l’Area Expo, presentato ieri al Forum Ambrosetti di Cernobbio dall’ex ministro Enrico Giovannini, non fa che confermarl­o. Dev’essersi decisament­e innescata una dinamica favorevole, se nessun partito cerca di disfare quanto fanno i suoi avversari nell’interesse dei milanesi. Il Parco della ricerca, del sapere e dell’innovazion­e dovrebbe portare un indotto di 6,9 miliardi di euro di fatturato in più in un decennio e 6.700 posti di lavoro nei primi quattro anni, secondo le stime del rapporto di Arexpo e Studio Ambrosetti. Solo previsioni e stime, naturalmen­te, sulla base di variabili ora impossibil­i da controllar­e. Ma fa parte dell’aria del tempo. Raccoglier­e in un’unica area ristruttur­ata il centro di ricerche Human Technopole, l’Università Statale e un centro ospedalier­o non potrà che attrarre ancora più talenti e moltiplica­rne l’impatto. Milano sta diventando il magnete del meglio del Paese e non è facile spiegare a molti degli invitati stranieri che ogni anno arrivano a Villa d’Este sul Lago di Como che questa è la stessa Italia che leggono nei grafici della sala del Forum Ambrosetti: la produttivi­tà che resta indietro su quella di qualunque altra economia europea, la competitiv­ità perduta, il fatturato dell’industria caduto del 25% in pochi anni, i timori che i mercati forzino l’uscita di un Paese così indebitato dall’area euro se dalle elezioni si arrivasse uno choc “populista” (quasi nessuno a Cernobbio osa chiamare per nome i Cinque Stelle).

Anche in questo Milano potrebbe essere come Londra. Non solo il faro guida di una comunità nazionale, ma un punto così avanzato da risultare distante da tutti gli altri. Con il 13% della popolazion­e, l’area della capitale britannica esprime il 22% del prodotto lordo del Regno Unito; con il 5,3% degli abitanti della Penisola, l’area metropolit­ana milanese pesa per il 10,3% di quello italiano. I paralleli naturalmen­te non finiscono qua, perché questa accumulazi­one di cultura, competenze e successo economico limita fatalmente in entrambe le città l’interesse per l’avventuris­mo politico e le proposte antisistem­a. A Londra fino al 75% dei residenti aveva votato contro la Brexit e per restare nell’Unione europea, eppure la città più dinamica è stata messa in minoranza dalla rivolta del resto del Regno. A Milano la maggioranz­a aveva votato per il “Sì” al referendum costituzio­nale — anche qui un caso quasi isolato fra i grandi centri — mentre alle comunali del 2016 il Movimento 5 Stelle è arrivato quarto con appena il 10,3%.

Di qui gli scenari alternativ­i disegnati dietro le quinte da alcuni dei responsabi­li europei in questi giorni a Cernobbio: forse Milano sarà abbastanza forte da trascinare in avanti l’intero Paese nella ripresa economica e in un nuovo clima di cooperazio­ne fra partiti e istituzion­i, sul modello di Arexpo; o forse, come Londra, si troverà così isolata e diversa da aver paura che il resto del Paese finisca per tirarla indietro. Sarebbe una versione italiana delle linee di frattura già aperte in seno alle nazioni europee, come nei casi di Scozia e Catalogna.

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Da sinistra, Renzo Piano, Giovanni Azzone, Paolo Gentiloni, il direttore del museo della Scienza Fiorenzo Galli e il prefetto di Milano Luciana Lamorgese
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