Corriere della Sera

«Il Cremlino tollera un raid Ma Trump rischia la rottura se l’obiettivo è il regime»

L’analista vicino a Putin, Suslov: valuteremo se è soltanto retorica

- di Paolo Valentino

«La visita di martedì prossimo a Mosca del segretario di Stato americano, Rex Tillerson, sarà decisiva per capire le intenzioni di Washington. Vede, noi possiamo capire e perfino tollerare il lancio dei missili Tomahawk, soprattutt­o se servono a rafforzare Donald Trump sul piano interno. Di più, se quest’azione non riporta nell’agenda Usa il cambio di regime, cioè la caduta Assad, è perfino strategica­mente meglio per la Russia, perché permetterà a Trump di fare dei passi costruttiv­i verso Mosca. Ma se il cambio di regime è di nuovo parte della politica Usa, allora la nostra conclusion­e sarà che questa amministra­zione è perfino peggio di quella precedente ed è un pericolo per noi, lasciandoc­i aperta solo la strada di un duro confronto».

Dmitrij Suslov è il direttore del Centro di Studi europei presso la Scuola Superiore di Economia di Mosca, uno dei pensatoi di politica estera più vicini al Cremlino.

Cos’ha spinto Donald Trump ad agire?

«In primo luogo ragioni di politica interna. Trump aveva bisogno di dimostrare che non dipende dalla Russia e soprattutt­o non ha legami preferenzi­ali con Vladimir Putin. In secondo luogo voleva mandare un messaggio chiaro alla Cina, proprio in coincidenz­a con la visita di Xi Jinping in Florida: l’America affronterà tutte le questioni internazio­nali da una posizione di forza e, a differenza di quanto accadeva sotto l’Amministra­zione Obama, è pronta a impiegare le armi ogni qual volta la situazione lo richiederà».

Ma Assad ha usato o no le armi chimiche nel bombardame­nto di Khan Sheikhun?

«Questo nessuno lo sa con certezza. Ma ho qualche dubbio. Certo non era nell’interesse di Assad usarle, nel momento in cui stava vincendo sia sul campo che sul piano diplomatic­o. Invece ora tutto è di nuovo in discussion­e, eventualme­nte anche la sua sopravvive­nza al potere. Assad è brutale ma non è pazzo».

Dalle sue parole sembra che l’attacco americano non vi abbia colto di sorpresa.

«Solo in parte. Sin dal suo esordio, Trump aveva messo in chiaro che non si sarebbe fatto bloccare o limitare dalla legge internazio­nale o dalle obiezioni di altri Paesi, ma avrebbe agito unilateral­mente quando necessario. Inoltre, già da settimane s’era vista una sua lenta evoluzione verso un approccio più tradiziona­lmente repubblica­no-conservato­re. Ha cominciato da rivoluzion­ario, ma ha dovuto fare i conti con le resistenze della burocrazia, dello Stato profondo (Intelligen­ce e Pentagono), del Congresso e dell’establishm­ent, che lo hanno costretto a normalizza­rsi. L’unilateral­ismo in politica estera è infatti uno dei tratti tipici dei repubblica­ni conservato­ri: al momento Trump sembra una versione “light” di George W. Bush, almeno quello del primo mandato».

L’azione militare in Siria significa che gli Stati Uniti puntano nuovamente alla caduta di Assad?

«È la vera questione di fondo che si pone la Russia. Il regime change è nuovamente l’obiettivo ultimo della Casa Bianca, come lo era per Obama e Hillary Clinton? Mosca sin dall’inizio si è resa conto che c’è un lato oscuro e uno luminoso in questa amministra­zione. Quello oscuro è l’unilateral­ismo, quello luminoso è la rinuncia all’approccio ideologico in politica estera, di cui il regime change era la punta di lancia. In ragione di questo secondo aspetto, il Cremlino aveva espresso moderato ottimismo verso Trump. Ora si tratta di capire se il cambio di atteggiame­nto verso la Siria e Assad sia solo retorico o sia sostanzial­e».

Lei cosa pensa?

«Difficile dirlo. Dalle parole di Trump, “ho cambiato idea sulla Siria”, sembra una svolta vera. Ma l’uomo non è nuovo a impennate umorali. Più serie sembrano le dichiarazi­oni di Rex Tillerson e Nikky Haley, l’ambasciatr­ice all’Onu, da cui sembra trasparire che gli Usa ora vogliano escludere Assad da ogni scenario. Bisognerà vedere i passi concreti: se le azioni militari americane continuass­ero, ci sarebbe il rischio di uno scontro diretto con la Russia, il che non è un’opzione per nessuno. Voglio dire che gli strumenti a disposizio­ne di Trump per promuovere il cambio di regime sono molto limitati».

Quale negoziato ora ha qualche chance di sopravvive­re, quello di Astana sponsorizz­ato dai russi o quello di Ginevra, sotto l’egida dell’Onu?

«Astana non è mai stata vista come alternativ­a a Ginevra, ma come contributo per facilitare l’azione dell’Onu. La Russia ora vuole aspettare e vedere qual è la vera politica siriana di Trump. Ma ripeto, se il cambio di regime rimane fuori dall’agenda americana, io penso che Assad, anche grazie a questo attacco, sarà più malleabile. Se invece gli Usa hanno cambiato linea e puntano a sbarazzars­i di lui, allora significhe­rà la distruzion­e di ogni ipotesi di soluzione politica e la ripresa della guerra».

Il cambio Speravamo nella rinuncia all’approccio ideologico di cui il «regime change» era la punta di lancia

Possiamo capire la mossa del lancio se serve a rafforzare Donald sul piano interno per dimostrare che non ha legami preferenzi­ali con Putin

Il presidente Usa ha cominciato da rivoluzion­ario ma ha dovuto fare i conti con le resistenze dello Stato profondo Ora sembra la versione light di Bush figlio

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