«Il Cremlino tollera un raid Ma Trump rischia la rottura se l’obiettivo è il regime»
L’analista vicino a Putin, Suslov: valuteremo se è soltanto retorica
«La visita di martedì prossimo a Mosca del segretario di Stato americano, Rex Tillerson, sarà decisiva per capire le intenzioni di Washington. Vede, noi possiamo capire e perfino tollerare il lancio dei missili Tomahawk, soprattutto se servono a rafforzare Donald Trump sul piano interno. Di più, se quest’azione non riporta nell’agenda Usa il cambio di regime, cioè la caduta Assad, è perfino strategicamente meglio per la Russia, perché permetterà a Trump di fare dei passi costruttivi verso Mosca. Ma se il cambio di regime è di nuovo parte della politica Usa, allora la nostra conclusione sarà che questa amministrazione è perfino peggio di quella precedente ed è un pericolo per noi, lasciandoci aperta solo la strada di un duro confronto».
Dmitrij Suslov è il direttore del Centro di Studi europei presso la Scuola Superiore di Economia di Mosca, uno dei pensatoi di politica estera più vicini al Cremlino.
Cos’ha spinto Donald Trump ad agire?
«In primo luogo ragioni di politica interna. Trump aveva bisogno di dimostrare che non dipende dalla Russia e soprattutto non ha legami preferenziali con Vladimir Putin. In secondo luogo voleva mandare un messaggio chiaro alla Cina, proprio in coincidenza con la visita di Xi Jinping in Florida: l’America affronterà tutte le questioni internazionali da una posizione di forza e, a differenza di quanto accadeva sotto l’Amministrazione Obama, è pronta a impiegare le armi ogni qual volta la situazione lo richiederà».
Ma Assad ha usato o no le armi chimiche nel bombardamento di Khan Sheikhun?
«Questo nessuno lo sa con certezza. Ma ho qualche dubbio. Certo non era nell’interesse di Assad usarle, nel momento in cui stava vincendo sia sul campo che sul piano diplomatico. Invece ora tutto è di nuovo in discussione, eventualmente anche la sua sopravvivenza al potere. Assad è brutale ma non è pazzo».
Dalle sue parole sembra che l’attacco americano non vi abbia colto di sorpresa.
«Solo in parte. Sin dal suo esordio, Trump aveva messo in chiaro che non si sarebbe fatto bloccare o limitare dalla legge internazionale o dalle obiezioni di altri Paesi, ma avrebbe agito unilateralmente quando necessario. Inoltre, già da settimane s’era vista una sua lenta evoluzione verso un approccio più tradizionalmente repubblicano-conservatore. Ha cominciato da rivoluzionario, ma ha dovuto fare i conti con le resistenze della burocrazia, dello Stato profondo (Intelligence e Pentagono), del Congresso e dell’establishment, che lo hanno costretto a normalizzarsi. L’unilateralismo in politica estera è infatti uno dei tratti tipici dei repubblicani conservatori: al momento Trump sembra una versione “light” di George W. Bush, almeno quello del primo mandato».
L’azione militare in Siria significa che gli Stati Uniti puntano nuovamente alla caduta di Assad?
«È la vera questione di fondo che si pone la Russia. Il regime change è nuovamente l’obiettivo ultimo della Casa Bianca, come lo era per Obama e Hillary Clinton? Mosca sin dall’inizio si è resa conto che c’è un lato oscuro e uno luminoso in questa amministrazione. Quello oscuro è l’unilateralismo, quello luminoso è la rinuncia all’approccio ideologico in politica estera, di cui il regime change era la punta di lancia. In ragione di questo secondo aspetto, il Cremlino aveva espresso moderato ottimismo verso Trump. Ora si tratta di capire se il cambio di atteggiamento verso la Siria e Assad sia solo retorico o sia sostanziale».
Lei cosa pensa?
«Difficile dirlo. Dalle parole di Trump, “ho cambiato idea sulla Siria”, sembra una svolta vera. Ma l’uomo non è nuovo a impennate umorali. Più serie sembrano le dichiarazioni di Rex Tillerson e Nikky Haley, l’ambasciatrice all’Onu, da cui sembra trasparire che gli Usa ora vogliano escludere Assad da ogni scenario. Bisognerà vedere i passi concreti: se le azioni militari americane continuassero, ci sarebbe il rischio di uno scontro diretto con la Russia, il che non è un’opzione per nessuno. Voglio dire che gli strumenti a disposizione di Trump per promuovere il cambio di regime sono molto limitati».
Quale negoziato ora ha qualche chance di sopravvivere, quello di Astana sponsorizzato dai russi o quello di Ginevra, sotto l’egida dell’Onu?
«Astana non è mai stata vista come alternativa a Ginevra, ma come contributo per facilitare l’azione dell’Onu. La Russia ora vuole aspettare e vedere qual è la vera politica siriana di Trump. Ma ripeto, se il cambio di regime rimane fuori dall’agenda americana, io penso che Assad, anche grazie a questo attacco, sarà più malleabile. Se invece gli Usa hanno cambiato linea e puntano a sbarazzarsi di lui, allora significherà la distruzione di ogni ipotesi di soluzione politica e la ripresa della guerra».
Il cambio Speravamo nella rinuncia all’approccio ideologico di cui il «regime change» era la punta di lancia
Possiamo capire la mossa del lancio se serve a rafforzare Donald sul piano interno per dimostrare che non ha legami preferenziali con Putin
Il presidente Usa ha cominciato da rivoluzionario ma ha dovuto fare i conti con le resistenze dello Stato profondo Ora sembra la versione light di Bush figlio