Minaccia i passanti, scatta l’antiterrorismo
Milano, migrante con precedenti per spaccio agita due lame. La polizia gli spara alle gambe, poi l’arresto
Nel linguaggio di strada li chiamano sputapalline. Spacciatori che tengono in bocca dosi da un quarto di grammo di cocaina e le ingoiano in caso di controlli. Gli archivi criminali raccontano che questo ha fatto, negli ultimi anni, l’uomo che alle 7.10 di ieri mattina sta con le spalle alla vetrina di un kebab, si muove a scatti, urla e farnetica, è circondato dai poliziotti e un agente gli dice: «Molla quei coltelli», ma lui fa il gesto come per arrotare le lame strofinandole una sull’altra, risponde «vaffa...» e «vi ammazzo», mentre qualche abitante svegliato dalle sirene grida dalle finestre: «Sparategli...».
Non è raro che le notti di Milano si chiudano all’alba col delirio in strada degli «strafatti» di cocaina, ma ieri mattina in viale Monza, prima periferia in zona piazzale Loreto, l’uomo imbottito anche di cannabis e oppiacei (come certificherà il referto dell’ospedale) impugna due coltelli e ha minacciato i passanti. Per questo i poliziotti delle Volanti, guidati dalla dirigente Maria Josè Falcicchia, lo stringono alle vetrine; all’inizio viene considerata anche l’ipotesi del terrorismo (poi caduta dopo gli accertamenti): 10 minuti a tentare la mediazione; poi, in pochi secondi, la dinamica s’accelera. Gli spruzzi di spray al peperoncino, l’uomo che agita le lame e s’avvicina a un agente, un altro poliziotto spara 4 colpi. Una pallottola trapassa una gamba. «Soggetto neutralizzato». Al pronto soccorso avrà 15 giorni di prognosi.
Il questore di Milano, Marcello Cardona, commenta: «L’intervento è stato molto tempestivo. E ciò è fondamentale in questo momento storico, con il rischio terrorismo. Nessun cittadino o passante è stato coinvolto o in pericolo». Poi aggiunge: «Se questa persona non è in regola, andrà via dal nostro Paese, perché non teniamo qui chi commette reati». Frasi che riprendono le strategie su accoglienza e sicurezza dettate dal ministro dell’Interno, Marco Minniti.
Prima di poter espellere l’uomo, che ora si trova in ospedale, bisognerà però accertare la sua identità. Perché per ora ha una storia criminale lunga quattro anni, tenuta insieme dai riscontri delle impronte digitali, ma non ha mai avuto (o mostrato) un passaporto. Sbarcato a Lampedusa nel 2013, un passaggio nel centro di accoglienza a Mineo, un arresto dei carabinieri a Roma nel 2014, poi l’arrivo a Milano e altri arresti per spaccio e resistenza. L’ultimo controllo il 6 aprile, quando viene denunciato (ricettazione) perché lo trovano con la tessera sanitaria di una persona a cui avevano rubato il portafogli. Nell’estate 2016 lo hanno arrestato anche gli investigatori della Mobile, guidati da Lorenzo Bucossi, che ora hanno in mano le indagini. In tutto questo tempo l’uomo ha dato nomi falsi, ha dichiarato di essere gambiano (nazionalità più probabile), ma anche senegalese, dovrebbe avere tra i 20 e i 25 anni. Per poterlo espellere, bisognerà dunque prima accertare il suo Stato di provenienza. È per casi come questo che sono necessari i Centri per le espulsioni, che Minniti intende riaprire in ogni Regione.
Da Lampedusa Sbarcato nel 2013, era stato anche a Mineo Poi vari arresti per droga a Roma e Milano