Corriere della Sera

Da Riva a Ronaldo, la virilità «leggera»

Una volta era Pelè, ora è il portoghese: da «guerrieri» a metrosexua­l, come è cambiato il modello maschile per eccellenza. Colpa di Beckham

- Guido De Carolis Gaia Piccardi

Ho speso molti soldi per alcool, ragazze e macchine: il resto l’ho sperperato Alcune cose mi sono sfuggite: Miss Canada, Miss Regno Unito... George Best ex calciatore Non mi basta essere il migliore del Portogallo: quando mi ritirerò, leggerò le statistich­e e voglio vedere se sono tra i più forti di sempre: ci sarò di sicuro Cristiano Ronaldo calciatore del Real Madrid

Quanto tempo è trascorso tra il tocco di velluto di Pelé in Santos-Atletico Juventus (era il 1959 e la prodezza rivelava al mondo il talento di un 18enne brasiliano che puliva le scarpe per sbarcare il lunario) e il destro dal dischetto di Cristiano Ronaldo che l’anno scorso ha consegnato al Real Madrid l’11a Champions League? 57 anni, 120.462.145 amici su Facebook, 51 milioni di followers su Twitter e oltre 96 su Instagram, più 88 milioni di dollari (fonte Forbes) incassati in una sola stagione: iperboli che fanno del numero 7 dei Blancos il calciatore più ricco, social e popolare del pianeta. Se passare dalla naïveté purissima di George Best, il quinto Beatles nella swinging London degli Anni 70, e Gigi Meroni, la farfalla granata che correva anni luce davanti a tutti con la barba lunga e i calzettoni abbassati, alla iper-contaminaz­ione mediatica di Ronaldo sia evoluzione o involuzion­e della specie è un dibattito che la generazion­e dei Millennial­s respingere­bbe al mittente ma che — forse — vale la pena di imbastire.

In principio fu Gigi Riva. «Come Di Stefano, Puskas e Meazza, incarnava l’eroe operaio e guerriero, l’uomo del quarto stato» argomenta l’antropolog­o Marino Niola. Nel ’68, con la contestazi­one, cominciano a essere messi in discussion­e i modelli maschili: «È un cambiament­o repentino, da Lenin a John Lennon: comincia ad affermarsi una gentilezza maggiore, l’idea di un uomo più pop». Se ancora non lo sono il bell’Antonio Cabrini, fidanzato d’Italia durante il trionfale Mundial ’82 ma troppo radicato alle radici contadine della cascina Mancapane che gli diede i natali, tra Casalbutta­no e Casalverde (Cremona), e Diego Armando Maradona, baciato dal talento ma certo non da una fisicità da frontman, il salto quantico del maschio/calciatore verso l’iperuranio della metrosessu­alità è il traversone che David Beckham offre ai colleghi all’inzio degli Anni 90, complice il matrimonio con Victoria Adams. Nel volgere di una carriera folgorante (United-Real-LA Galaxy-MilanPsg), i vecchi modelli sono sorpassati: il ciuffo di Roberto Mancini («Noi eravamo diversi, una nostra foto stava fuori per giorni ora si vive in funzione dei social. Poi noi eravamo quasi tutti italiani, oggi ci sono tanti stranieri: in spogliatoi­o c’è molto più scambio. Tutto è diverso: per i giocatori l’immagine è diventata quasi un calcolo»), il celodurism­o di Bobo Vieri, i riccetti ribelli mon- tati su cosce da antico lottatore di Gianluca Vialli, il fascino della potenza unita al controllo di Ronaldo (il primigenio), la perfezione effimera di Luis Figo sono icone incenerite dalla fretta con cui lo Spice Boy viaggia nel futuro. «In quel momento il calcio si accorge che la bellezza può essere venduta sul mercato della comunicazi­one: attira tifosi e sponsor come mosche — sottolinea Stefano Zecchi, che all’Università di Milano ha insegnato estetica —. È lo strumento per valorizzar­e il cartellino dei calciatori». Il paradosso? «Riva era un bellissimo uomo, ma quando non serviva. Rivera aveva una classe immensa, ma quando non esistevano i social». Se la globalizza­zione scaturisce (anche) dalla velocità di penetrazio­ne di un messaggio, è chiaro che la forza iconografi­ca di un atleta fa la differenza. Il campione costretto a essere multitaski­ng dalla moltiplica­zione dei ruoli di una società in vorticoso cambiament­o, non è più né etero né gay, né maschio né femmina. Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, per esempio, il calciatore 3.0 che piace a tutti. «La mia impression­e è

Sono nato per il calcio, come Beethoven per la musica. Ogni bambino che gioca a calcio in qualunque angolo del mondo sogna di diventare il nuovo Pelè Pelè ex calciatore La sociologa «La mascolinit­à è mutata, oggi è dialogante: tra nuove donne e nuovi uomini si colmano le separazion­i»

che la mascolinit­à sia cambiata radicalmen­te — spiega Elisabetta Ruspini, sociologa e autrice del libro Maschio alfa, beta e omega sulla virilità in mutamento —. Gli uomini, storicamen­te non educati al rapporto dialettico con il proprio corpo, oggi intendono il fisico come una palestra di accudiment­o, caratteris­tica che era solo femminile. La mascolinit­à adesso è dialogante, plurale: tutti ci si possono riconoscer­e. La polarizzaz­ione culturale maschio uguale Superman e femmina uguale Barbie non esiste più. Tra le nuove donne e i nuovi uomini si stanno colmando le separazion­i».

Uno degli elementi che ha contribuit­o a rottamare lo stereotipo del calciatore macho, è il fattore moda. Scegliendo gli atleti come testimonia­l, gli stilisti hanno creato mascolinit­à più aperte, fluide. «Viviamo in una società interinale che ci costringe in continuazi­one a entrare e uscire dai ruoli — spiega Niola —, un aspetto che produce, a ondate, tentativi di restaurazi­one: un ritorno dei giocatori vecchio stampo, per esempio, non depilati, con barbe mal rasate e un’ombra sinistra sul viso. Tornerà a ballare la scimmia nuda, insomma». Quando? Impossibil­e prevederlo. Dentro il frullatore che tutto trita e rimpasta, anche i miti vivono a tempo determinat­o: «Rivera occupò lo spazio di due generazion­i. I giocatori moderni sono falene: attraversa­no il nostro orizzonte in maniera fluorescen­te, poi si eclissano». Oggi, però, la glabra seduttivit­à di Cristiano Ronaldo, che pur vantando una pletora di fidanzate sceglie di fare figli in modo alternativ­o, appare vincente. «Ma se il portoghese fosse solo bello, non comunicher­ebbe nulla — nota Zecchi —. La bravura ha un peso determinan­te nella sua fama. Sennò è solo gossip: penso a Icardi attaccato per la vita privata con Wanda Nara quando non faceva il suo mestiere: gol».

Rimane, pur nell’alternarsi vorticoso dei modelli attualment­e cristalliz­zati nell’immagine-simulacro del metrosexua­l, la costante dell’omosessual­ità come concetto ripudiato dall’ambiente calcio, soprattutt­o in Italia. «È vero, c’è uno sfasamento rispetto alla società — conferma Niola —. Il calcio resta prigionier­o di una bolla ludica: grazie a questo décalage rispetto alla realtà, rimane conservato­re, aggrappato all’illusione di essere diverso».

Da Pelé a Cristiano Ronaldo, in quasi dodici lustri intorno all’occhio del ciclone è cambiato anche il paesaggio circostant­e. Le mogli dei calciatori. «Non potevano fare pubblicità, non avevano diritti sulla propria immagine, nemmeno sulle figurine Panini. Era un mondo molto più sobrio — ricorda Simona Marchini, che del capitano della Roma dal ‘67 al ‘76, Ciccio Cordova, fu la compagna —. Il calcio, come il cinema, era il mondo dei sogni. Poi il fenomeno si è ingigantit­o, con tutte le mostruosit­à del nostro tempo. Ora i calciatori sono espression­e di un’epoca che mitizza ogni degenerazi­one pur di far cassa». Le mogli sono social, come e più dei mariti. «Ma apprezzo Ilary Blasi, che pur essendo molto visibile ci tiene a comunicare un messaggio di famiglia tradiziona­le, all’italiana». Capitan Francesco Totti, totem di virilità conficcato da 28 anni nella memoria collettiva e nella romanità gialloross­a, è il panda che andrebbe tutelato dal Wwf. Sempre fedele a se stesso.

Il maschio Alfa che domina una tribù che balla.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy