Corriere della Sera

CHE COSA DIRE A UN BAMBINO MALATO

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N elle pagine che seguono si sottolinea l’importanza dell’empatia. Ci sono situazioni in cui è più decisiva che in altre, come quando si è di fronte un bambino malato. Che cosa si può dire a un piccolo che soffre? Che cosa potrà capire? E come farsi capire da lui? Come interpreta­rne i segnali per comunicare in modo corretto ed efficace? E se il bambino ha poche o nulle speranze? Come si può dire la verità ai genitori quando è dura, scabra, dolorosa, inaccettab­ile? Sembrerebb­e un esercizio quasi inutile. Che cosa resta? Buonismo che lascia appena il tempo che ha trovato? E allora potrebbe sorprender­e sapere invece quante persone in Italia spendono profession­alità, tempo, impegno proprio per questo.

Si sono incontrate, parecchie di loro, recentemen­te a Milano in un meeting organizzat­o da Fondazione Quarta su «La relazione medico bambino: prevenire e affrontare la sofferenza emotiva dei piccoli colpiti da patologie critiche e delle loro famiglie». Un’occasione di confronto fra visioni anche differenti sul dove e sul come, ma non sul cosa, cioè la certezza che la comunicazi­one non è elemento accessorio, ma integrante, della cura, anche quando questa non può allungare in modo significat­ivo la quantità di vita.

Non sono pochi i medici e gli infermieri, che, sebbene sia chiesto loro di fare tutto in fretta, di produrre, credono sia fondamenta­le ascoltare e capire. Senza ascolto non c’è comprensio­ne e senza comprensio­ne non c’è linguaggio, ma assurdità, comportame­nti “da sordo” (latino ab surdus), da chi non ha sentito e quindi non può rispondere in modo

sensato. Per comunicare, “mettere in comune”, bisogna comprender­e, “prendere insieme”. Con questa premessa il limite, l’inaccettab­ile, come la malattia grave di un bambino, può non essere il luogo del vano, della disperazio­ne sola, ma quello dell’incontro, del riconoscim­ento del valore.

Una consapevol­ezza che è prerogativ­a di chi non si rassegna a vivere da consumator­e di attimi. L’impegno di chi cerca di “esserci” nel modo migliore per malati fragili come i bambini (ma anche gli anziani, ovviamente) e per i loro familiari, ha significat­o ed è significan­te. Apparentem­ente improdutti­vo, in realtà produce moltissimo e ottempera all’unico vero bisogno, quello di essere amati, nonostante le circostanz­e, nonostante la debolezza, nonostante non si “serva a nulla” non si produca ricchezza o consenso. Chi si spende per questo dà una lezione a tutti.

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