Corriere della Sera

ELEGGIAMO IL PRESIDENTE D’EUROPA

Un leader forte e il richiamo alle radici culturali per dare all’Unione una vera identità politica

- Di Roberto Esposito e Ernesto Galli della Loggia

Può mai esistere un’Europa politica che non sappia da dove viene e che cosa rappresent­a? Che non sia consapevol­e della propria identità, e cioè delle proprie radici? Si direbbe di sì se perfino nelle tante analisi suscitate dall’anniversar­io dei Trattati di Roma non vi è stato alcun richiamo a uno di questi temi. E invece noi siamo convinti che chi vuole un’Europa politica proprio di ciò debba innanzi tutto parlare: di radici storicocul­turali, di identità.

Chi immagina un soggetto politico privo di una propria identità storicocul­turale e/o ignaro di essa immagina, infatti, qualcosa che non è mai esistito. Principalm­ente per una ragione. Se la politica è quella particolar­e sfera in cui ogni società colloca l’organizzaz­ione del potere a cui riconosce la legittima capacità di decidere (e quindi di farsi obbedire), nonché i meccanismi volti a designare chi di quel potere possa essere titolare, se la politica è questo, allora si capisce che tra essa e l’identità storico-culturale della società — cioè i valori, la storia e le tradizioni di questa, gli abiti di vita e di pensiero che ne sono scaturiti — debba esserci per forza un profondo legame vitale. Un legame che comuni interessi economici o condivise regole giuridiche non bastano ad assicurare perché non in grado di suscitare quel senso di appartenen­za, quel sentire aperto alle emozioni e al simbolico, quella passione dell’azione e dell’intelligen­za, che alla fine sono il cuore della politica. Sono per l’appunto le sue radici perché sono le radici del legame sociale.

Di radici, in verità, si parlò nel momento in cui sembrò possibile elaborare una Costituzio­ne europea. Ma dopo il fallimento di quel progetto la questione è stata messa da parte, cancellata. Ne è seguito, non a caso, il totale abbandono del livello politico della discussion­e sull’Europa, e lo spazio lasciato solo alla dimensione dell’economia, nell’idea che ad essa avrebbe fatto seguito inevitabil­mente anche la dimensione della politica.

Fu una valutazion­e doppiament­e sbagliata: tra l’altro perché l’economia ha di per sé una dimensione globale e non continenta­le; e poi perché, distaccata dalla politica, e tanto più quando investe l’ambito monetario, essa tende più a dividere che a unire, in forza dei differenti interessi in gioco (la lezione dell’euro è sotto gli occhi di tutti).

L’incapacità, ma vorremmo dire la paura, di riconoscer­e all’Europa un’identità storico-culturale ha molte cause. Innanzi tutto il nostro terribile Novecento, dove proprio in nome dell’identità, ideologica o razziale che fosse, sono stati commessi gli orrori che sappiamo. È come se, uscita complessiv­amente sconfitta dalla guerra, e spartita di fatto tra America e Russia, l’Europa abbia temuto di rivendicar­e la ricchezza e la peculiarit­à di una vicenda che appariva colpevole in blocco. Tale stato di minorità è durato fino a oggi. L’unica via per farci perdonare prima il fascismo e poi il comunismo è parsa a noi europei quella di sbiadire gli elementi costitutiv­i della nostra storia fino a cancellarl­i.

Da qui i timori che ancora oggi accompagna­no il discorso sulle radici dell’Europa. Ci è sembrato rischioso proclamare ciò che invece è evidente a chiunque guardi alla questione senza pregiudizi. E cioè che l’Europa nel senso storico-culturale del termine, la nostra Europa, nasce dall’incontro e dalla tensione tra la sua radice ebraico-cristiana e quella razionalis­tico-illuminist­a — peraltro per tanti aspetti sotterrane­amente coincident­i — con il decisivo apporto del diritto romano. Più precisamen­te, dalla secolarizz­azione che l’Illuminism­o ha prodotto nei confronti del Cristianes­imo, rendendone compatibil­i i principi con quelli della democrazia. Da dove altro vengono la Dichiarazi­one d’indipenden­za americana e quella del 1789 sui diritti dell’uomo e del cittadino?

Non è un caso se Hegel — in certo senso il massimo teorico di quella particolar­issima forma politica europea integralme­nte laica che è lo Stato nazionale, da lui immaginato come il culmine della vita dello spirito —, proprio Hegel individuas­se nella modernità compiuta il farsi mondo del Cristianes­imo. Questo è un aspetto spesso trascurato, eppure d’importanza decisiva. Che il maggior filosofo europeo leghi il destino della politica moderna a quello del Cristianes­imo segna profondame­nte la formazione della coscienza occidental­e. La stessa analisi di Max Weber sul rapporto tra calvinismo e spirito del capitalism­o conferma il significat­o decisivo che ha avuto la secolarizz­azione del Cristianes­imo nella costituzio­ne della civiltà contempora­nea.

La storia europea è stata anche un formidabil­e frutto del pensiero, cioè della nostra radice culturale. Nei confronti della politica tale pensiero ha avuto una funzione che può ben dirsi costituent­e: ne ha prodotto indirettam­ente le forme e l’ha concettual­izzata, ce l’ha fatta intendere e ce ne ha fatto così essere partecipi. Un esempio? Tutto quanto è accaduto nel mondo almeno fino alla seconda metà del Novecento non è comprensib­ile fuori dal confronto, e anche dal conflitto, tra la concezione di Marx e quella di Weber.

Certo, si è trattato di una storia tutt’altro che irenica, segnata da opacità e violenze, da cui l’Europa, cento anni orsono, ha rischiato di venire a sua volta distrutta. Ma che ha un profilo peculiaris­simo e non indegno, di cui non possiamo perdere le tracce, smarrendo in tal modo le coordinate della nostra identità.

Rivendicar­e tali coordinate non soltanto non collide con l’esigenza di confronto pacifico con altre culture, etnie, religioni — peraltro già largamente presenti tra di noi — ma ne è la condizione. Sappiamo bene che l’Europa è una parte, non il centro del mondo. Ma una parte, se vuole essere tale e dialogare con le altre, deve pure sapersi autodefini­re in base ai propri principi costitutiv­i, di ordine storico e simbolico. D’altro canto, perché sia preso sul serio, il concetto di differenza — oggi giustament­e così vivo e presente alla coscienza contempora­nea — deve necessaria­mente pensarsi insieme a quello di identità. Solo un’identità, infatti, può essere «differente» da altre. Viceversa, questa affermazio­ne così ovvia è parsa più volte perdersi a

Complesso d’inferiorit­à Distrutta dalla guerra e spartita tra America e Urss, l’Europa ha temuto di rivendicar­e ricchezza e peculiarit­à della sua vicenda storica

Apporti essenziali Valorizzia­mo la matrice ebraico-cristiana, ma anche la tradizione greca e latina, senza la quale il continente smarrirebb­e la sua stessa anima

favore di un indistinto primato della differenza in quanto tale. Al punto che si è arrivati a sostenere che l’identità dell’Europa consistere­bbe nell’«alterità» in sé e per sé. Vale a dire nel rifiuto di ogni identità. Ebbene, se vuole diventare un soggetto politico l’Unione Europea deve abbandonar­e decisament­e questa strada.

Ma a qualificar­e l’identità dell’Europa non basta certo il riferiment­o di cui si è detto alla doppia radice ebraico-cristiana e illuminist­ica. È necessario altresì individuar­e il concreto orizzonte storico, e anche culturale, filosofico, in cui l’incontro-scontro tra l’una e l’altra è prevalente­mente avvenuto.

A noi pare che questo incontro-scontro si sia essenzialm­ente giocato nel rapporto tra latinità e germanesim­o. Dove alla prima è capitato di accogliere ed elaborare fin dall’inizio il germe fecondo della cultura greca e il secondo è stato chiamato a misurarsi con la Zivilisati­on anglofranc­ese a occidente e con le umbratili profondità del retaggio russo-slavo ad oriente. Ebbene, se l’Europa deve avere un futuro all’altezza del suo passato, tale rapporto va non solo tenuto sempre presente, ma anche, vogliamo dirlo chiarament­e, riequilibr­ato a favore del mondo latino e mediterran­eo in genere. Bisogna ammettere, da questo punto di vista, che nell’atteggiame­nto con cui i tedeschi si rivolgono ai Paesi meridional­i — alla Grecia, ma anche all’Italia e alla Spagna, e in qualche caso perfino alla Francia — c’è spesso un tratto di supponen-

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy