Corriere della Sera

Fatima e le altre Le ribelli del velo

Da Pavia a Bassano, in pochi giorni 4 casi scuotono le famiglie musulmane

- di Goffredo Buccini

Punite perché vogliono vivere all’occidental­e. La ribellione delle quattro adolescent­i musulmane che vivono in Italia. Una sequenza di disagio mai emersa così platealmen­te dalle comunità islamiche.

Non sarà una primavera, non ancora. Ma quattro piccole rivolte ne accendono almeno la speranza, specie se condensate in poco più d’una settimana: una sequenza di disagio mai emersa così platealmen­te dalle comunità islamiche in Italia. Le storie si somigliano in maniera impression­ante, da Bologna a Pavia, da Torino a Bassano nel Veneto: c’è una famiglia di recente immigrazio­ne; una ragazzina che si sente assai più prossima al sistema di valori delle sue compagne di classe che a quello dei genitori musulmani; l’imposizion­e di un simbolo controvers­o, il velo, o di una tradizione infame, il matrimonio forzato, che la ragazzina rifiuta in modo deciso, attirandos­i addosso l’ira dei parenti e la punizione domestica; infine, per fortuna, ci sono la scuola e lo Stato, che sempre più spesso si intrometto­no e fanno sentire la loro voce: la ragazzina viene sottratta a padre e madre e affidata a strutture protette, nell’attesa che qualcosa accada o che, sempliceme­nte, diventi più grande e si affranchi una volta per tutte.

Un contropied­e

Parla ai nostri cuori e al nostro cervello il grido di dolore delle adolescent­i musulmane cresciute tra noi. Mentre ovunque temiamo che l’Islam si radicalizz­i, queste piccole italiane senza cittadinan­za si occidental­izzano, in un contropied­e valoriale che stupisce e conforta, perché infine conferma la forza di attrazione d’una democrazia liberale dove la dignità di ciascuno vale un’intera teologia o, più sempliceme­nte, una Coca Cola e un jeans attillato si dimostrano codici trasversal­i insopprimi­bili tra i teeneagers.

L’ultima rivolta è di venerdì, nel Veneto del Brenta: lei, 15 anni, rifiuta il velo, il papà la picchia approfitta­ndo dell’assenza della mamma; lei trova il coraggio di raccontare tutto a compagni e professori e, dopo una corsa in ospedale, viene ricoverata in una casa famiglia. È quasi lo stesso canovaccio della prima rivolta, quella più famosa, della quattordic­enne Fatima, dieci giorni fa nella periferia bolognese di Borgo Panigale: in ballo c’è sempre il velo, che Fatima respinge, ma il ruolo di carnefice qui tocca alla mamma, che rasa a zero la testa della bambina (risibile la giustifica­zione: «aveva i pidocchi»); anche Fatima racconta tutto e gira così una pagina del suo destino. Come la sedicenne di Pavia che non si piega alle frustate con le quali i suoi vorrebbero «purificarl­a» dei costumi troppo occidental­i, magari di un rossetto sulle labbra, magari di due gocce di profumo. E come Rashida, 15 anni, famiglia egiziana immigrata sette anni fa nel quartiere torinese di Barriera di Milano: le organizzan­o a sua insaputa persino il banchetto di nozze con un connaziona­le assai più anziano che ha visto sì e no due volte; lei tenta il suicidio, poi decide che è meglio vivere e liberarsi dei suoi oppressori, le compagne di classe la aiutano.

«Per tanto tempo da voi in Italia era la stessa cosa: le nozze si combinavan­o», ha detto sua madre, per difendersi. E c’è del vero, certo, si forzavano anche, ma questa verità ci racconta due cose: del coraggio di queste ragazzine, pari a quello delle nostre ragazze meridional­i quando si ribellavan­o magari all’ignominia del matrimonio riparatore; e dell’eterno campo di battaglia, il corpo delle donne, sul quale da sempre gli uomini combattono i loro scontri di civiltà o di inciviltà. È sottocultu­ra quella che forza al velo o al matrimonio e, oggi, felicement­e contaminat­e dalla scuola laica italiana, tante giovanissi­me figlie di migranti, seconde generazion­i tra noi, la respingono: magari anche per conformism­o adolescenz­iale con le compagne, ma è un inizio. Qualcosa sta cambiando ed è possibile che questa sia solo la punta di un iceberg. Dalla provincia di Pesaro, per dire, in meno di un mese, si segnalano dieci esposti di figlie e mogli contro padri-padroni e mariti-padroni musulmani.

Identità lacerate

Naturalmen­te, le ragazze ribelli affrontano, accanto allo stigma familiare, una crisi di identità lacerante. In Italia un milione e mezzo di minori vive in una faglia esistenzia­le: da italiani di fatto e non di diritto, stranieri in una terra in cui sono nati o cresciuti dalla tenera età. Al di là di tante belle parole ci sarebbe una via per sostenere Fatima e le altre, perché un giorno spieghino ai figli che Islam e diritti non devono per forza fare a pugni: aprire loro, adesso, la strada maestra della cittadinan­za. Con una legge che tatticismi politici e resistenze xenofobe tengono affossata in Senato da un anno e mezzo: fingendo di ignorarne l’inebriante profumo di civiltà.

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