Gli Usa all’Onu: non c’è pace in Siria con Assad
Il segretario di Stato Tillerson a Mosca: uniti contro i terroristi, poi cerchiamo un’alternativa a Damasco Flotta Usa verso la Corea del Nord. La Casa Bianca: serviva un’azione, non miriamo a cambiare il regime
Il segretario di Stato Rex Tillerson arriva oggi in Italia, a Lucca, per il G7 dei ministri degli Esteri e domani si sposterà in Russia. La portaerei americana Carl Vinson fa rotta verso la penisola coreana. I gas di Bashar al Assad e le testate atomiche di Kim Jong-Un: l’offensiva politica, diplomatica e militare degli Stati Uniti è in pieno sviluppo.
Donald Trump non si è ancora espresso compiutamente sulla Siria. Ma Tillerson ha mandato pieno per sondare il Cremlino su un possibile schema d’intesa, che preveda anche l’uscita di Assad, con tempi e modalità da concordare tra le formazioni in conflitto e con l’intervento dell’Onu. L’indiscrezione è stata rilanciata da Fox, l’emittente di Rupert Murdoch, molto vicina all’amministrazione di Washington. In ogni caso il segretario di Stato sta preparando la difficile trasferta con molta prudenza e qualche ambiguità. In un’intervista all’emittente Abc, Tillerson sollecita il Cremlino «a ripensare la sua alleanza con Assad, perché ogni volta che accadono attacchi orribili come quello chimico (87 morti, martedì 4 aprile ndr), la Russia viene investita da un qualche livello di responsabilità». Nello stesso tempo il segretario di Stato sottolinea, stavolta con la Cbs, come «la priorità più urgente sia la sconfitta dello Stato islamico. Una volta che questa insidia sarà ridotta o eliminata, potremo rivolgere direttamente la nostra attenzione verso la stabilizzazione della Siria. Dobbiamo imparare la lezione della Libia: c’è stato un violento e improvviso cambio di regime, ma la situazione resta caotica». Più esplicita l’ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, in un colloquio con la Cnn: «Non c’è pace o soluzione politica con Assad al potere». Interessante anche la dichiarazione del consigliere per la sicurezza nazionale Herbert Raymond McMaster: «Gli Stati Uniti vorrebbero un cambio di regime in Siria, ma non saremo noi a cambiarlo».
Il vertice tra Tillerson e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov potrà forse allentare la tensione. Improbabile che arrivino anche risultati. Ieri Vladimir Putin ha parlato al telefono con il presidente iraniano Hassan Rouhani, mentre i loro generali dislocati in Siria hanno platealmente «ribadito il comune sostegno ad Assad».
Il raid contro l’aeroporto siriano è come se avesse scosso Trump dall’apatia in campo internazionale. La flotta guidata dalla nave ammiraglia Carl Vinson si sta spostando «in via precauzionale» da Singapore verso la Corea del Nord. Ancora Tillerson: «Il nostro obiettivo non è un cambio di regime a Pyongyang. Tuttavia il quadro ha raggiunto un livello di minaccia tale da richiedere un’azione». Trump avrebbe ricevuto dal Pentagono una serie «di opzioni». Alcune al limite dell’azzardo: dall’uccisione di Kim al dispiegamento di ordigni nucleari nella Corea del Sud. Le manovre americane devono tenere conto dalla Cina, il Paese che tiene in piedi il regime nordcoreano. Ancora una volta Tillerson indica una formula un po’ vaga: «Parlando con il presidente Trump il leader cinese Xi Jinping non ha mostrato disaccordo su quanto il frangente sia diventato pericoloso». È il linguaggio della diplomazia alla vigilia di trattative complicate e decisioni rischiose.