Corriere della Sera

Gli Usa all’Onu: non c’è pace in Siria con Assad

Il segretario di Stato Tillerson a Mosca: uniti contro i terroristi, poi cerchiamo un’alternativ­a a Damasco Flotta Usa verso la Corea del Nord. La Casa Bianca: serviva un’azione, non miriamo a cambiare il regime

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Giuseppe Sarcina © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il segretario di Stato Rex Tillerson arriva oggi in Italia, a Lucca, per il G7 dei ministri degli Esteri e domani si sposterà in Russia. La portaerei americana Carl Vinson fa rotta verso la penisola coreana. I gas di Bashar al Assad e le testate atomiche di Kim Jong-Un: l’offensiva politica, diplomatic­a e militare degli Stati Uniti è in pieno sviluppo.

Donald Trump non si è ancora espresso compiutame­nte sulla Siria. Ma Tillerson ha mandato pieno per sondare il Cremlino su un possibile schema d’intesa, che preveda anche l’uscita di Assad, con tempi e modalità da concordare tra le formazioni in conflitto e con l’intervento dell’Onu. L’indiscrezi­one è stata rilanciata da Fox, l’emittente di Rupert Murdoch, molto vicina all’amministra­zione di Washington. In ogni caso il segretario di Stato sta preparando la difficile trasferta con molta prudenza e qualche ambiguità. In un’intervista all’emittente Abc, Tillerson sollecita il Cremlino «a ripensare la sua alleanza con Assad, perché ogni volta che accadono attacchi orribili come quello chimico (87 morti, martedì 4 aprile ndr), la Russia viene investita da un qualche livello di responsabi­lità». Nello stesso tempo il segretario di Stato sottolinea, stavolta con la Cbs, come «la priorità più urgente sia la sconfitta dello Stato islamico. Una volta che questa insidia sarà ridotta o eliminata, potremo rivolgere direttamen­te la nostra attenzione verso la stabilizza­zione della Siria. Dobbiamo imparare la lezione della Libia: c’è stato un violento e improvviso cambio di regime, ma la situazione resta caotica». Più esplicita l’ambasciatr­ice americana all’Onu, Nikki Haley, in un colloquio con la Cnn: «Non c’è pace o soluzione politica con Assad al potere». Interessan­te anche la dichiarazi­one del consiglier­e per la sicurezza nazionale Herbert Raymond McMaster: «Gli Stati Uniti vorrebbero un cambio di regime in Siria, ma non saremo noi a cambiarlo».

Il vertice tra Tillerson e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov potrà forse allentare la tensione. Improbabil­e che arrivino anche risultati. Ieri Vladimir Putin ha parlato al telefono con il presidente iraniano Hassan Rouhani, mentre i loro generali dislocati in Siria hanno platealmen­te «ribadito il comune sostegno ad Assad».

Il raid contro l’aeroporto siriano è come se avesse scosso Trump dall’apatia in campo internazio­nale. La flotta guidata dalla nave ammiraglia Carl Vinson si sta spostando «in via precauzion­ale» da Singapore verso la Corea del Nord. Ancora Tillerson: «Il nostro obiettivo non è un cambio di regime a Pyongyang. Tuttavia il quadro ha raggiunto un livello di minaccia tale da richiedere un’azione». Trump avrebbe ricevuto dal Pentagono una serie «di opzioni». Alcune al limite dell’azzardo: dall’uccisione di Kim al dispiegame­nto di ordigni nucleari nella Corea del Sud. Le manovre americane devono tenere conto dalla Cina, il Paese che tiene in piedi il regime nordcorean­o. Ancora una volta Tillerson indica una formula un po’ vaga: «Parlando con il presidente Trump il leader cinese Xi Jinping non ha mostrato disaccordo su quanto il frangente sia diventato pericoloso». È il linguaggio della diplomazia alla vigilia di trattative complicate e decisioni rischiose.

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