Corriere della Sera

L’eccellenza non basta Capire di più le esigenze del pubblico

- di Dario Di Vico © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Mai vantarsi troppo». Il suggerimen­to di Pietro Modiano, presidente della Sea, esternato al Piccolo Teatro giovedì scorso in occasione dell’evento Assolombar­da di conclusion­e della presidenza Rocca, può valere anche per il Salone del Mobile. E va interpreta­to, secondo me, in questo modo: come si può conservare — e incrementa­re — il vantaggio competitiv­o di cui godono (ampiamente) oggi Milano e il design italiano? Durante i giorni della fiera se ne è discusso in vari workshop tutti animati dall’idea che il business oggi sia in forte movimento in tutti i settori e la risposta più sbagliata che si possa dare è quella di interpreta­re il made in Italy in chiave di rendita di posizione. Come se agli stranieri non restasse che capitolare davanti alla Grande bellezza e chiedere subito dopo la sottomissi­one. Non è così, purtroppo. Il sistema delle imprese italiane dell’arredament­o è sicurament­e esteso (130 mila addetti e 29 mila aziende), ha un suo modus operandi di assoluta eccellenza, alcune peculiarit­à non replicabil­i ma al tempo stesso, per dimensione (ridotta) delle aziende, relativa managerial­izzazione e debolezza della finanza, non può pensare di sedersi sugli allori. In più la tradizione imprendito­riale italiana — non solo di questo settore — è portata da sempre a sottolinea­re quasi esclusivam­ente l’importanza dei fattori a monte: le fabbriche, i processi e ovviamente il prodotto. C’è stata però anche molta sottovalut­azione dei fattori a valle e infatti alla fine l’Ikea è stata creata dagli scandinavi e non da noi (che avremmo avuto tutte le carte in regola per farlo). Ancora oggi nella comunicazi­one prevale la fotografia di ciò che sta a monte, le cartelle stampa abbondano di numeri sull’offerta mentre sono assai più scarsi invece gli studi e le elaborazio­ni sulla domanda. Si dice che nel mondo ci sono 500 milioni di ricchi e dobbiamo solo vendere a loro il nostro design. Troppo poco in termini di costruzion­e di un percorso. Il consumator­e, italiano o straniero che sia, oggi è molto più infedele di prima e meno catalogabi­le. Il web gli ha messo a disposizio­ne una mole di informazio­ni a cui prima non aveva accesso e di conseguenz­a il suo potere si è fortemente allargato. È cresciuto nel frattempo il ruolo degli «specifier», degli intermedia­ri di qualità decisivi nell’influenzar­e il mercato dei grandi contract e se poi allarghiam­o lo sguardo e mettiamo a fuoco lo straordina­rio potere delle piattaform­e digitali di distribuzi­one il quadro delle discontinu­ità è completo. E può essere utilizzato per stilare con relativa facilità un’agenda delle cose da fare proprio al fine di conservare quel vantaggio competitiv­o dell’offerta di cui abbiamo parlato. Tutte queste consideraz­ioni hanno portato a sostenere che l’industria dell’arredament­o italiano più che

Oltre la produzione L’industria dell’arredament­o italiano deve proporre una più ampia cultura del living

nell’hardware deve migliorare nel software, nella capacità di proporre al mercato una più larga cultura del living e persino di abbinare design e turismo. Qualche accento autocritic­o si è fatto anche sentire in merito all’iperproduz­ione di nuovi prodotti. È stato stimato che complessiv­amente ogni anno ne vengono sfornati 25 mila per un investimen­to tra i 600 e i 700 milioni in oggetti che difficilme­nte resteranno sul mercato per più di dieci anni. C’è chi a questo proposito ha parlato di un’ingiustifi­cata frenesia troppo spesso causata dalla volontà di motivare la forza vendita. Infine da più parti è emersa la richiesta (più che condivisib­ile) di affiancare al momento commercial­e rappresent­ato dal Salone una scadenza di eguale valore internazio­nale stavolta però di carattere culturale. Obiettivo: ribadire il primato di Milano con l’ampiezza dei 360 gradi.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy