I TEST D’INTEGRAZIONE PER IMMIGRATI IN OLANDA CON MULTE AI BOCCIATI
Nelle ultime settimane oltre 500 immigrati e rifugiati nei Paesi Bassi sono stati multati per non avere superato il «test di integrazione civica», che comprende esami di lingua olandese e di conoscenza della società (come si fa a prendere un appuntamento in ospedale? Come si iscrivono i figli a scuola?). Le persone bocciate o che non si sono presentate in tempo ai test devono pagare fino a 1.250 euro, a seconda dei casi, e sono costrette a ripetere la prova se vogliono sperare di ottenere il permesso di soggiorno. Sembra ed è una regola sacrosanta. Chi vuole vivere stabilmente in un Paese straniero, perché vi è costretto o perché spera di migliorare le sue condizioni, è bene che sia messo nelle condizioni di condurre una vita accettabile, che preveda un minimo di interazione con chi in quel Paese vive già da tempo. È un prerequisito che arriva prima ancora dell’annoso dilemma tra multiculturalismo anglosassone e assimilazione alla francese: si potrà scegliere poi se restare in forme diverse fedeli alle proprie radici e origini o se provare a fondersi nella società di accoglienza, ma se si vuole vivere in Olanda bisogna imparare l’olandese. Eppure, anche qui le cose si complicano. Il rischio è che i test vengano usati, a seconda dei funzionari chiamati ad applicarli, come strumenti per respingere più che per integrare. Dorine Manson, a capo della ong di aiuto ai rifugiati Vluchtelingenwerk, dice che a lungo le istruzioni per iscriversi ai corsi di olandese erano scritte solo in olandese. Poi è giunta una traduzione parziale in inglese, ma la privatizzazione del sistema lo ha trasformato in un incubo burocratico e i corsi di lingua sono molto costosi, anche se ogni iscritto può ottenere un prestito fino a 10 mila euro da rimborsare solo se non si supera l’esame. Nell’aprile dell’anno scorso avrebbero dovuto superare il test 53 mila persone, ci sono riusciti in seimila. Colpa forse in qualche caso della cattiva volontà: di chi arriva, o di chi accoglie. Su Corriere.it Puoi condividere sui social network le analisi dei nostri editorialisti e commentatori: le trovi su www.corriere.it a domenica delle Palme è stata una giornata di sangue per i cristiani egiziani: una bomba nella Chiesa copta della grande città di Tanta e, successivamente, un attentatore suicida si è fatto esplodere fuori dalla cattedrale di San Marco di Alessandria. Daesh (Isis), è crudele e attento alla simbologia. Colpendo i copti egiziani, conferma la guerra ai cristiani nel mondo. Era già il terribile messaggio dello sgozzamento dei 21 operai copti in Libia nel 2015 sulle rive del Mediterraneo in cui, tra impressionanti effetti scenici, si inviava un messaggio ai «crociati copti» e ai cristiani del Nord. La Chiesa copta li ha proclamati martiri.
Gli attacchi di ieri sono avvenuti nel giorno in cui cattolici, ortodossi di ogni tradizione ed evangelici, celebrano l’ingresso nella Settimana Santa: una data fortemente simbolica per l’intero mondo cristiano. Quest’anno, casualmente, i diversi calendari fanno coincidere la Pasqua. Non avviene quel fatto imbarazzante per cui le diverse Chiese la celebrano in domeniche distinte.
Dal 2013, ci sono state almeno 40 aggressioni ai copti da parte musulmana, le ultime nella cattedrale del Cairo e nel Sinai. Le tensioni islamo-cristiane hanno caratterizzato la storia recente dell’Egitto, anche con i rapimenti di donne cristiane, la loro conversione e i matrimoni forzati. Ma Daesh ora alza il tiro e ne fa un atto di «guerra»: sceglie la data simbolica, in cui copti celebrano la «processione della croce gloriosa», che è, quest’anno, la Domenica delle Palme per tutti i cristiani. Daesh colpisce la cattedrale di San Marco ad Alessandria, sede del patriarca copto papa Tawadros che, casualmente, l’aveva lasciata da poco. Conosce bene i costumi cristiani. Attraverso questi attentati, si candida alla leadership globale dei musulmani sunniti non solo contro l’Occidente, Tensione Dal 2013, ci sono state 40 aggressioni ai copti da parte musulmana al Cairo e nel Sinai
ma contro i cristiani in genere. Ma molti musulmani egiziani hanno manifestato l’orrore per l’assassinio di gente indifesa e in preghiera, mentre il gran imam di Al Azhar Al Tayyb ha subito condannato i fatti.
I copti sono un facile bersaglio per i terroristi: vivono con i concittadini musulmani. Sono la più grande comunità cristiana nel mondo arabo, circa dieci milioni. Gli studiosi si sono interrogati sul perché della loro sopravvivenza alla dura pressione secolare dell’Islam, mentre i cristiani sono scomparsi nel vicino Nord Africa e si sono molto ridotti in Medio Oriente. I copti (il termine richiama l’origine egiziana) sono stati per secoli lo strato più povero, spesso confinato in aree marginali, ma fedeli alla fede cristiana, vicini ai monasteri. Mai, di fronte ai musulmani, si sono difesi con la forza: le crociate non fanno parte della loro storia, per questo definirli «crociati» come fa Daesh è assurdo.
La «rinascita copta» è avvenuta tramite l’innalzamento del livello di studi (un’aristocrazia copta c’è sempre stata, come la famiglia dell’ex segretario generale dell’Onu, Butros Prospettiva La solidarietà tra Chiese potrebbe spingere a superare vecchie divisioni teologiche
Ghali) e soprattutto attraverso un vasto movimento religioso d’istruzione e partecipazione alla vita comunitaria, che ha toccato capillarmente il popolo. Lo si vede nelle chiese egiziane, dove spesso i copti hanno in mano il Vangelo e seguono partecipi i riti. Nerbo della rinascita sono stati i monaci, spesso di cultura, che hanno ricostruito storici monasteri, diroccati e disabitati. Sono stati l’anima della ripresa dell’identità religiosa e popolare copta, che si è espressa nella volontà di pari diritti con i musulmani e di superamento della condizione di umiliazione. Gli ultimi tre patriarchi, riformatori e guide spirituali della Comunità, sono legati a questo movimento. Il penultimo, papa Shenuda, ha guidato la Chiesa con forza, protestando contro il governo per le violenze e le limitazioni subite: il che causò il suo confino in un monastero del deserto all’epoca del presidente Sadat.
L’attuale patriarca appoggia il presidente Al Sisi, allo stesso modo del gran imam di Al Azhar. Ci sono state varie minacce verso Tawadros. È figura ecumenica: venuto a Roma nel 2013 per incontrare il neoeletto Francesco, segnando una svolta dopo i difficili rapporti tra Vaticano e Shenuda. Ha proposto al Papa l’unificazione della data per la celebrazione della Pasqua tra tutti i cristiani. Tra il Papa di Roma e quello egiziano si è creato un rapporto intenso, che rende Francesco sensibile alla dura situazione dei copti. Bergoglio vive l’ecumenismo in modo personale con amicizia.
La prossima visita in Egitto ne è l’espressione, anche se si prospetta con qualche rischio. Tuttavia è confermata, anzi gli attentati la motivano ancor di più.
Viene da chiedersi, innanzi a questo scenario, se i motivi storici e teologici (che giustificano la divisione tra Chiese) non perdano ormai la loro forza di fronte alla persecuzione che coinvolge tutti i cristiani e a nuove prossimità che ci creano tra loro. La visita di Francesco in Egitto è espressione d’intensa solidarietà ma è anche un passo di nuovo ecumenismo.