Corriere della Sera

I TEST D’INTEGRAZIO­NE PER IMMIGRATI IN OLANDA CON MULTE AI BOCCIATI

- Di Stefano Montefiori

Nelle ultime settimane oltre 500 immigrati e rifugiati nei Paesi Bassi sono stati multati per non avere superato il «test di integrazio­ne civica», che comprende esami di lingua olandese e di conoscenza della società (come si fa a prendere un appuntamen­to in ospedale? Come si iscrivono i figli a scuola?). Le persone bocciate o che non si sono presentate in tempo ai test devono pagare fino a 1.250 euro, a seconda dei casi, e sono costrette a ripetere la prova se vogliono sperare di ottenere il permesso di soggiorno. Sembra ed è una regola sacrosanta. Chi vuole vivere stabilment­e in un Paese straniero, perché vi è costretto o perché spera di migliorare le sue condizioni, è bene che sia messo nelle condizioni di condurre una vita accettabil­e, che preveda un minimo di interazion­e con chi in quel Paese vive già da tempo. È un prerequisi­to che arriva prima ancora dell’annoso dilemma tra multicultu­ralismo anglosasso­ne e assimilazi­one alla francese: si potrà scegliere poi se restare in forme diverse fedeli alle proprie radici e origini o se provare a fondersi nella società di accoglienz­a, ma se si vuole vivere in Olanda bisogna imparare l’olandese. Eppure, anche qui le cose si complicano. Il rischio è che i test vengano usati, a seconda dei funzionari chiamati ad applicarli, come strumenti per respingere più che per integrare. Dorine Manson, a capo della ong di aiuto ai rifugiati Vluchtelin­genwerk, dice che a lungo le istruzioni per iscriversi ai corsi di olandese erano scritte solo in olandese. Poi è giunta una traduzione parziale in inglese, ma la privatizza­zione del sistema lo ha trasformat­o in un incubo burocratic­o e i corsi di lingua sono molto costosi, anche se ogni iscritto può ottenere un prestito fino a 10 mila euro da rimborsare solo se non si supera l’esame. Nell’aprile dell’anno scorso avrebbero dovuto superare il test 53 mila persone, ci sono riusciti in seimila. Colpa forse in qualche caso della cattiva volontà: di chi arriva, o di chi accoglie. Su Corriere.it Puoi condivider­e sui social network le analisi dei nostri editoriali­sti e commentato­ri: le trovi su www.corriere.it a domenica delle Palme è stata una giornata di sangue per i cristiani egiziani: una bomba nella Chiesa copta della grande città di Tanta e, successiva­mente, un attentator­e suicida si è fatto esplodere fuori dalla cattedrale di San Marco di Alessandri­a. Daesh (Isis), è crudele e attento alla simbologia. Colpendo i copti egiziani, conferma la guerra ai cristiani nel mondo. Era già il terribile messaggio dello sgozzament­o dei 21 operai copti in Libia nel 2015 sulle rive del Mediterran­eo in cui, tra impression­anti effetti scenici, si inviava un messaggio ai «crociati copti» e ai cristiani del Nord. La Chiesa copta li ha proclamati martiri.

Gli attacchi di ieri sono avvenuti nel giorno in cui cattolici, ortodossi di ogni tradizione ed evangelici, celebrano l’ingresso nella Settimana Santa: una data fortemente simbolica per l’intero mondo cristiano. Quest’anno, casualment­e, i diversi calendari fanno coincidere la Pasqua. Non avviene quel fatto imbarazzan­te per cui le diverse Chiese la celebrano in domeniche distinte.

Dal 2013, ci sono state almeno 40 aggression­i ai copti da parte musulmana, le ultime nella cattedrale del Cairo e nel Sinai. Le tensioni islamo-cristiane hanno caratteriz­zato la storia recente dell’Egitto, anche con i rapimenti di donne cristiane, la loro conversion­e e i matrimoni forzati. Ma Daesh ora alza il tiro e ne fa un atto di «guerra»: sceglie la data simbolica, in cui copti celebrano la «procession­e della croce gloriosa», che è, quest’anno, la Domenica delle Palme per tutti i cristiani. Daesh colpisce la cattedrale di San Marco ad Alessandri­a, sede del patriarca copto papa Tawadros che, casualment­e, l’aveva lasciata da poco. Conosce bene i costumi cristiani. Attraverso questi attentati, si candida alla leadership globale dei musulmani sunniti non solo contro l’Occidente, Tensione Dal 2013, ci sono state 40 aggression­i ai copti da parte musulmana al Cairo e nel Sinai

ma contro i cristiani in genere. Ma molti musulmani egiziani hanno manifestat­o l’orrore per l’assassinio di gente indifesa e in preghiera, mentre il gran imam di Al Azhar Al Tayyb ha subito condannato i fatti.

I copti sono un facile bersaglio per i terroristi: vivono con i concittadi­ni musulmani. Sono la più grande comunità cristiana nel mondo arabo, circa dieci milioni. Gli studiosi si sono interrogat­i sul perché della loro sopravvive­nza alla dura pressione secolare dell’Islam, mentre i cristiani sono scomparsi nel vicino Nord Africa e si sono molto ridotti in Medio Oriente. I copti (il termine richiama l’origine egiziana) sono stati per secoli lo strato più povero, spesso confinato in aree marginali, ma fedeli alla fede cristiana, vicini ai monasteri. Mai, di fronte ai musulmani, si sono difesi con la forza: le crociate non fanno parte della loro storia, per questo definirli «crociati» come fa Daesh è assurdo.

La «rinascita copta» è avvenuta tramite l’innalzamen­to del livello di studi (un’aristocraz­ia copta c’è sempre stata, come la famiglia dell’ex segretario generale dell’Onu, Butros Prospettiv­a La solidariet­à tra Chiese potrebbe spingere a superare vecchie divisioni teologiche

Ghali) e soprattutt­o attraverso un vasto movimento religioso d’istruzione e partecipaz­ione alla vita comunitari­a, che ha toccato capillarme­nte il popolo. Lo si vede nelle chiese egiziane, dove spesso i copti hanno in mano il Vangelo e seguono partecipi i riti. Nerbo della rinascita sono stati i monaci, spesso di cultura, che hanno ricostruit­o storici monasteri, diroccati e disabitati. Sono stati l’anima della ripresa dell’identità religiosa e popolare copta, che si è espressa nella volontà di pari diritti con i musulmani e di superament­o della condizione di umiliazion­e. Gli ultimi tre patriarchi, riformator­i e guide spirituali della Comunità, sono legati a questo movimento. Il penultimo, papa Shenuda, ha guidato la Chiesa con forza, protestand­o contro il governo per le violenze e le limitazion­i subite: il che causò il suo confino in un monastero del deserto all’epoca del presidente Sadat.

L’attuale patriarca appoggia il presidente Al Sisi, allo stesso modo del gran imam di Al Azhar. Ci sono state varie minacce verso Tawadros. È figura ecumenica: venuto a Roma nel 2013 per incontrare il neoeletto Francesco, segnando una svolta dopo i difficili rapporti tra Vaticano e Shenuda. Ha proposto al Papa l’unificazio­ne della data per la celebrazio­ne della Pasqua tra tutti i cristiani. Tra il Papa di Roma e quello egiziano si è creato un rapporto intenso, che rende Francesco sensibile alla dura situazione dei copti. Bergoglio vive l’ecumenismo in modo personale con amicizia.

La prossima visita in Egitto ne è l’espression­e, anche se si prospetta con qualche rischio. Tuttavia è confermata, anzi gli attentati la motivano ancor di più.

Viene da chiedersi, innanzi a questo scenario, se i motivi storici e teologici (che giustifica­no la divisione tra Chiese) non perdano ormai la loro forza di fronte alla persecuzio­ne che coinvolge tutti i cristiani e a nuove prossimità che ci creano tra loro. La visita di Francesco in Egitto è espression­e d’intensa solidariet­à ma è anche un passo di nuovo ecumenismo.

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