Corriere della Sera

La guerra di religione che stiamo vivendo

- Di Pierluigi Battista

Ma come, dicono stupefatti dopo l’attentato di Stoccolma, perché colpiscono la Svezia con quel modello di integrazio­ne avanzata, quel Welfare che funziona, con un grado di benessere sociale che dovrebbe attutire ogni pulsione violenta? E certo, ci si stupisce perché davvero non si riesce a uscire dal rassicuran­te ritornello secondo cui «la religione non c’entra» (non c’entra nemmeno in Egitto, dove fanno strage nelle chiese copte nella Domenica delle Palme?), come se il terrore jihadista fosse riconducib­ile alle categorie più note e collaudate, come se fosse un prolungame­nto in versione ventunesim­o secolo della lotta di classe, una protesta contro la diseguagli­anza che solo per una trascurabi­le differenza ha scelto di usare come suo manuale ideologico il Corano anziché un testo di Lenin. Come se non riuscissim­o a liberarci dalla prigionia di criteri che non spiegano niente ma almeno ci sono più familiari. Perché Stoccolma? E perché Parigi e Dacca, la Nigeria e gli Stati Uniti, Nizza e Londra, un treno regionale in Germania e un museo a Tunisi? Perché Bruxelles e il Pakistan, Tel Aviv e Oslo, il Cairo e San Pietroburg­o e Istanbul? Perché una spiaggia o una discoteca, una via elegante dello shopping o uno stadio, un teatro o un bistrot, un ristorante etnico o un aeroporto, un treno o un supermerca­to, un mercatino natalizio o un ponte? Perché, che c’entra con la protesta sociale, anche violenta, estremista, e forse terrorista nelle sue manifestaz­ioni più oltranzist­e? A questi «perché» non riusciamo, non vogliamo mai rispondere. Cerchiamo di cancellare la realtà, di attenuarla. Temiamo le conseguenz­e di ciò che potremmo dire: non perché non siano vere, ma perché sono pericolose. Non riusciamo a concettual­izzare una guerra culturale, scatenata contro un intero sistema di vita, al Nord come al Sud, all’Est e all’Ovest, contro i cristiani, gli ebrei e i musulmani di altra confession­e, fatta per motivi ideologici e dove questa ideologia si chiama islamismo fondamenta­lista, radicale, integralis­ta. E le sue armi sono cinture esplosive, coltelli, asce, tritolo, Suv, camion, kalashniko­v, gli stessi corpi di chi semina il terrore. Il welfare svedese non c’entra niente e il multicultu­ralismo inglese non è diverso, per i terroristi, dallo statalismo repubblica­no della Francia. Una guerra ideologica, culturale, di religione. Sì, di religione.

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