Il revival di «Furore», lo spirito del tempo e lo stile degli anni 90
Si sentiva davvero l’esigenza del revival di «Furore» (Rai2, venerdì, 21.10)? Il programma è stato uno dei primi format moderni importati dalla Rai: la prima edizione, esattamente vent’anni fa, arrivò su Rai2 grazie all’intuizione di tre disinibiti come Carlo Freccero, Raffaella Carrà e Sergio Japino. Era un periodo di forte sperimentazione per il canale, alla ricerca di nuovi linguaggi.
«Furore» è, in fondo, un gioco musicale come molti altri, con due squadre di vip o più spesso semi vip a sfidarsi su prove simili a modelli ben noti, come il karaoke o il Musichiere. La differenza sta nel tono, che è quello di un divertimento «a tutti i costi», esibito e un po’ urlato: all’epoca, vent’anni fa, era una delle prime volte che la tv s’ispirava al mondo delle discoteche e, soprattutto, dei villaggi turistici.
L’idea era che il pubblico scegliesse di seguire lo show per «sentirsi massa», per partecipare al rito collettivo del karaoke, unito da una rima baciata, da un pugno di note: agitarsi e ansimare come il modo migliore per non pensare.
Bastò poco a «Furore» per diventare un tormentone generazionale, con i suoi jingle, i suoi stacchetti, le tragiche performance canore dei vip, la giovane promessa (ora un po’ malinconica) Alessandro Greco. Vedere oggi su Rai2 l’edizione celebrativa dello show, sull’onda dell’effetto nostalgia di molta tv contemporanea, ha generato due effetti curiosi. Il primo è osservare come lo show, con l’innesto di Gigi e Ross, abbia assorbito in pieno lo spirito del tempo, con una spruzzata di «Ciao Darwin», qualche strizzata d’occhio al linguaggio di Instagram con grafiche ed effetti visivi.
Il secondo è vedere come molte innovazioni stilistiche degli anni 90 (trash compreso) abbiano attraversato i decenni per segnare in profondità le logiche dei reality, dei talent e dei factual che popolano in massa la tv di oggi.