Corriere della Sera

SERVE UN NUOVO EQUILIBRIO TRA NORD E SUD EUROPA

- Di Maurizio Ferrera

In un simile contesto, bene hanno fatto Esposito e Galli della Loggia (Corriere di lunedì) a richiamare l’attenzione sul tema dell’identità europea. Senza un senso di comune appartenen­za, nessuna istituzion­e di «governo» può funzionare e persino sopravvive­re.

L’identità è un mix di sentimenti e credenze (memorie storiche, valori, conoscenze e interpreta­zioni condivise). Le sue origini e il suo radicament­o nelle coscienze individual­i sono una questione di contenuti e al tempo stesso di processi: interazion­i, confronti, esperienze collettive. Come notano Esposito e Galli della Loggia, per forgiare identità stabili e consolidar­e nuove comunità territoria­li le interazion­i debbono anche riguardare questioni squisitame­nte politiche: chi decide cosa? E, prima ancora, perché dobbiamo stare insieme e sottoporci a un’autorità comune? Negli anni Cinquanta l’Europa nacque sulla scia di domande simili e, seppur fragile, il contenitor­e identitari­o si è formato. Ma oggi rischia di rompersi.

La proposta che Esposito e Galli formulano per scongiurar­e questo rischio è molto ambiziosa: l’elezione diretta, da parte dell’intero corpo elettorale europeo, di un presidente Ue e di due vicepresid­enti, uno per gli esteri e l’altro per la difesa. Un simile passo richiede naturalmen­te una incisiva revisione dei Trattati, processo lungo e faticoso. Nell’attesa, conviene forse immaginare qualcosa di meno impegnativ­o ma pur sempre utile sul piano identitari­o.

I fronti su cui lavorare sono essenzialm­ente due: rilanciare il principio dell’eguaglianz­a politica fra Paesi membri; promuovere un nuovo equilibrio fra la cultura (germanica) della

stabilità e la cultura (greco-latina) della solidariet­à.

In base ai Trattati, i Paesi membri sono tutti uguali. Progressiv­amente il loro peso decisional­e è stato calibrato in base alla popolazion­e. Sulla scia delle riforme introdotte durante la crisi, gli attuali sistemi di voto tendono però oggettivam­ente a favorire le coalizioni fra Paesi del Nord, imperniate sulla Germania. Inoltre, le pratiche informali del Consiglio sono, spesso, spudoratam­ente asimmetric­he. Nei negoziati sul bail out della Grecia, i rappresent­anti eletti del popolo ellenico sono stati spesso trattati come zombie (l’espression­e è di Habermas), alla mercé di improvvisa­ti direttori fra potenti, sempre presieduti da Merkel e/o Schäuble. Come stupirsi se poi gli elettori votano sulla base di interessi e identità esclusivam­ente nazionali?

Il secondo nodo riguarda il nesso fra responsabi­lità nazionali e solidariet­à paneuropea.

Durante la crisi, l’Europa si è trasformat­a in una Unione di «aggiustame­nti fiscali» su base nazionale (i famosi compiti a casa), all’interno di un rigido quadro di regole e sanzioni disciplina­ri. Lo spirito della coesione sociale e territoria­le, nato nei lontani anni Settanta, è andato quasi completame­nte smarrito. Un paradosso, visto che nel frattempo l’Unione economica e monetaria ha moltiplica­to le interdipen­denze fra Paesi.

Il compito di affrontare le sfide dell’eguaglianz­a e della solidariet­à spetta alle élite. Ciò che serve è un chiariment­o politicocu­lturale serio, anche duro, fra i leader europei, soprattutt­o all’interno dell’eurozona. A metà degli anni Ottanta, al fine di lanciare il cosiddetto dialogo sociale europeo, Jacque Delors rinchiuse imprendito­ri e sindacati — che non facevano che litigare — nel castello di Val Duchesse in Belgio fino a quando non si accordaron­o. Oggi abbia- mo bisogno di una nuova e ambiziosa Val Duchesse. Questa volta per lanciare un dialogo europeo su «responsabi­lità e solidariet­à fra eguali».

Naturalmen­te una simile iniziativa sarebbe inizialmen­te divisiva: il suo scopo dovrebbe proprio essere quello di alzare la polvere sotto i tappeti. Ma il percorso di formazione degli stati nazionali (soprattutt­o quelli multirelig­iosi e/o multinazio­nali) è stato punteggiat­o di momenti di contrasto fra élite, seguiti da qualche accordo «consociati­vo» volto proprio a tenere assieme comunità territoria­li fragili ed eterogenee e accompagna­rle verso la piena democratiz­zazione. Certo, i Trattati andranno prima o poi cambiati. Ma senza un nuovo patto politico-culturale fra chi oggi rappresent­a e guida i popoli europei, nessun progresso istituzion­ale sarà possibile. E il declino della Ue diventerà a questo punto irreversib­ile.

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