Gentiloni da Trump tra crescita e Libia «Italia-Usa, una necessità politica»
Oggi l’incontro alla Casa Bianca. «In Europa il controllo delle frontiere deve essere condiviso»
«Per il Mediterraneo occorre una nuova pace di Westfalia, può sembrare un concetto ambizioso ma non è così, sino ad oggi per troppi europei il Mediterraneo è stato qualcosa da guardare senza ansia, separato dal proprio destino e invece oggi non è più così, il controllo delle frontiere fra gli Stati europei deve essere bilanciato e condiviso in modo diverso dall’attuale, con maggiore equilibrio .... ».
Quando Paolo Gentiloni oggi affronterà la platea di uno dei think tank della capitale americana, prima di recarsi alla Casa Bianca, pronuncerà queste parole. Anche se la prospettiva da questa parte dell’Atlantico è diversa, la sensibilità sui temi dei migranti non è mai stata così alta e in questo caso il presidente del Consiglio avrà anche qualcosa di preciso da chiedere al nuovo presidente americano: una linea più netta, meno ondivaga, e soprattutto più efficace, sulla crisi libica, che «resta nella prima fascia delle nostra priorità», aggiungerà Gentiloni, prima di auspicare che proprio sul tema il legame fra Italia e Stati Uniti «non sia solo un’opportunità, ma una sorta di necessità politica».
Per chi vorrà leggere fra le righe l’intervento conterrà uno dei messaggi chiave che il nostro capo del governo porterà al cospetto di Donald Trump: visti i rapporti del nuovo presidente americano con il presidente egiziano Al Sisi, viste le indecisioni della Francia, la debolezza del governo di Sarraj, le spaccature interne al Paese cavalcate da alcuni alleati della Nato, il governo italiano chiede un coinvolgimento maggiore degli americani.
Del resto, senza scomodare equilibri che sono in piedi da oltre mezzo secolo, gli americani hanno ben 5 basi militari sul nostro suolo, basi che contribuiscono a buona parte della strategia e degli equilibri geopolitici di Washington in questa area del mondo. E dunque un impegno maggiore in Libia, o una maggiore sostegno del ruolo che l’Italia si è sin qui ritagliata, sarebbe nell’interesse di tutti. Anche contro la lotta al terrorismo.
Certo l’incontro fra Trump e Gentiloni — arrivato negli Usa con il volo inaugurale dell’aereo di Stato che ha comprato Matteo Renzi, ma che l’ex premier non ha mai usato — sarà anche un’occasione per conoscersi, con un presidente ame- ricano che ha già dato dimostrazione di privilegiare le relazioni personali, anche a scapito della sostanza dei dossier. Una relazione che dovrà in qualche modo carburare in vista del G7 di Taormina, per il quale manca ormai poco più di un mese e che vedrà il nostro capo del governo nella veste di ospite e Donald Trump nella veste di attore protagonista, per la prima volta sulla scena europea, accanto agli altri leader del mondo e al nuovo inquilino dell’Eliseo.
Dallo staff che ha preparato l’incontro sembra che una richiesta americana possa essere a sua volta su un maggiore impegno italiano, strettamente militare, sul suolo iracheno. Ma è difficile, ammesso che Trump si spinga a chiederlo, che venga accontentato: oggi l’Italia si distingue già in varie parti del mondo per l’impegno di peace-keeping, in Iraq è presente con ruoli di addestramento e di protezione della diga di Mosul. Dati che venivano opposti anche dall’amministrazione di Matteo Renzi alle richieste pregresse degli Stati Uniti.
Con Trump, prima di volare ad Ottawa, dove incontrerà il giovane premier canadese Justin Trudeau, di sicuro si discuterà anche del rapporto con Mosca, della sanzioni economiche contro il Paese guidato da Putin, del ruolo preferenziale che in seno all’Unione europea proprio l’Italia negli anni si è ritagliata. Non che Trump abbia bisogno di Roma per gestire i suoi rapporti con il Cremlino, ma qualche consiglio italiano potrebbe essere ascoltato.