Corriere della Sera

Il governo amico del Pd ma non più organico al partito (e alle idee) di Renzi

- Di Massimo Franco

Da Roma a Francofort­e

Non sempre è chiaro dove finisca il gioco delle parti e cominci un contrasto reale. Ma dai toni perentori delle ultime ore si indovina che il governo di Paolo Gentiloni e del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è sempre più «amico» ma non organico al Pd. Non c’è solo il ronzio insistente che parla di un Matteo Renzi intenziona­to a rilanciare il voto in autunno, appena rieletto segretario. Il problema è un’agenda di politica economica divergente tra governo e dem: un attrito che Renzi ormai non nasconde. «L’Iva non si tocca e non si toccherà», ha ribadito quasi mettendo un veto.

Altolà destinato in primo luogo a Padoan, che ritiene sia una delle strade obbligate per ridurre il debito pubblico. A lui, ma non solo. Dietro al ministro, Renzi intravede una filiera che va da Bankitalia alla Bce, fino alle istituzion­i di Bruxelles: interlocut­ori che da mesi considera avversari, perché mettono in discussion­e quanto è stato fatto nei «mille giorni» del suo Esecutivo. A nemmeno un anno da elezioni politiche, e a un paio di mesi dalle Comunali dell’11 giugno, il vertice del Pd non vuole sentir parlare di finanze in bilico, né di manovre pesanti per correggere i conti.

Da qui l’insistenza su un «tesoretto» di 47 miliardi di euro che permettere­bbe di ridurre le tasse: una riserva meno tangibile di quanto si dica. Da qui, ancora, il pungolo nei confronti di Gentiloni e di Padoan affinché si presentino al cospetto della Commission­e Ue «a gomiti larghi». Per il momento, Renzi sembra averla spuntata. Ieri, davanti ai parlamenta­ri del Pd, il ministro dell’Economia ha assicurato che non farà scattare le clausole di salvaguard­ia sull’Iva: una misura sulla quale l’ex segretario e ex

L’ex premier intravede una filiera, da Bankitalia alla Banca Centrale europea, che considera avversaria

premier aveva appena ripetuto di non essere d’accordo. «Tutti gli anni si è presentata una ipotesi analoga, e tutti gli anni l’abbiamo bloccata». E ancora: «C’è una crescita più alta di quanto previsto». D’altronde, Padoan avverte il nervosismo della forza che comunque tiene in piedi la coalizione. E sa che ogni centimetro di autonomia conquistat­o nei confronti del partito renziano crea scossoni. Il M5S ironizza su un ministro «schiacciat­o tra l’incudine di Renzi e il martello dell’austerity europea».

Ma è soprattutt­o «l’incudine» a non nascondere una certa insofferen­za verso ministri considerat­i troppo in linea con le indicazion­i europee: Padoan e Carlo Calenda, responsabi­le dello Sviluppo economico. Renzi ricorda di averli scelti lui. «Talvolta non siamo d’accordo: non è lesa maestà. Con Padoan tante volte abbiamo discusso. E gli sono grato perché quando non eravamo d’accordo discutevam­o, ma poi all’esterno dicevamo sempre le stesse cose. Avevamo la stessa linea». I verbi sono coniugati all’imperfetto, e forse non è casuale.

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