Il governo amico del Pd ma non più organico al partito (e alle idee) di Renzi
Da Roma a Francoforte
Non sempre è chiaro dove finisca il gioco delle parti e cominci un contrasto reale. Ma dai toni perentori delle ultime ore si indovina che il governo di Paolo Gentiloni e del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è sempre più «amico» ma non organico al Pd. Non c’è solo il ronzio insistente che parla di un Matteo Renzi intenzionato a rilanciare il voto in autunno, appena rieletto segretario. Il problema è un’agenda di politica economica divergente tra governo e dem: un attrito che Renzi ormai non nasconde. «L’Iva non si tocca e non si toccherà», ha ribadito quasi mettendo un veto.
Altolà destinato in primo luogo a Padoan, che ritiene sia una delle strade obbligate per ridurre il debito pubblico. A lui, ma non solo. Dietro al ministro, Renzi intravede una filiera che va da Bankitalia alla Bce, fino alle istituzioni di Bruxelles: interlocutori che da mesi considera avversari, perché mettono in discussione quanto è stato fatto nei «mille giorni» del suo Esecutivo. A nemmeno un anno da elezioni politiche, e a un paio di mesi dalle Comunali dell’11 giugno, il vertice del Pd non vuole sentir parlare di finanze in bilico, né di manovre pesanti per correggere i conti.
Da qui l’insistenza su un «tesoretto» di 47 miliardi di euro che permetterebbe di ridurre le tasse: una riserva meno tangibile di quanto si dica. Da qui, ancora, il pungolo nei confronti di Gentiloni e di Padoan affinché si presentino al cospetto della Commissione Ue «a gomiti larghi». Per il momento, Renzi sembra averla spuntata. Ieri, davanti ai parlamentari del Pd, il ministro dell’Economia ha assicurato che non farà scattare le clausole di salvaguardia sull’Iva: una misura sulla quale l’ex segretario e ex
L’ex premier intravede una filiera, da Bankitalia alla Banca Centrale europea, che considera avversaria
premier aveva appena ripetuto di non essere d’accordo. «Tutti gli anni si è presentata una ipotesi analoga, e tutti gli anni l’abbiamo bloccata». E ancora: «C’è una crescita più alta di quanto previsto». D’altronde, Padoan avverte il nervosismo della forza che comunque tiene in piedi la coalizione. E sa che ogni centimetro di autonomia conquistato nei confronti del partito renziano crea scossoni. Il M5S ironizza su un ministro «schiacciato tra l’incudine di Renzi e il martello dell’austerity europea».
Ma è soprattutto «l’incudine» a non nascondere una certa insofferenza verso ministri considerati troppo in linea con le indicazioni europee: Padoan e Carlo Calenda, responsabile dello Sviluppo economico. Renzi ricorda di averli scelti lui. «Talvolta non siamo d’accordo: non è lesa maestà. Con Padoan tante volte abbiamo discusso. E gli sono grato perché quando non eravamo d’accordo discutevamo, ma poi all’esterno dicevamo sempre le stesse cose. Avevamo la stessa linea». I verbi sono coniugati all’imperfetto, e forse non è casuale.