Preghiere e comizi blindati Una corsa per quattro (quasi) al di fuori dei partiti
Gli arresti di Marsiglia non sono la svolta della campagna; ma confermano l’impressione che Fillon abbia ancora una carta da giocare. Tutti i sondaggi danno al secondo turno Macron e Le Pen. Ma l’ex premier è in rimonta; e non solo perché ai suoi comizi da cinque giorni ci sono i tiratori scelti sui tetti, gli sono stati vietati i bagni di folla e a Nizza gli hanno chiesto di indossare il giubbotto antiproiettile, ricevendo un fermo diniego («Non ho paura, io»).
Il pellegrinaggio di François
Fillon è l’unico ad avere dietro un partito, per quanto diviso; e un partito vuol dire non essere soli. Vuol dire avere militanti che non si limitano a rispondere ai sondaggisti, non partono per il week-end se il tempo è bello, non dimenticano di iscriversi alle liste elettorali, non appartengono alle élites urbane sedotte da Macron. Che è interessante, giovane, dinamico; piace a tutti, anche a vecchi arnesi come il sessantottino Cohn-Bendit, che ieri l’ha affiancato in un affollato meeting a Nantes; ma non ha alle spalle un’organizzazione, un territorio, una credibilità nel parlare di Islam e di sicurezza. È il preferito dai giovani, che però votano in pochi; Fillon è il preferito dai pensionati, che votano quasi tutti. Per mobilitare i cattolici è in continuo pellegrinaggio tra i santuari mariani; non perde una messa, il sabato santo ne ha prese due, la prima nella cattedrale di Nostra Signora dell’Annunciazione in Alvernia, la seconda nella chiesa copta di Chatenay-Malabry (Alta Senna). Resta però staccato di 3-4 punti, anche perché i dinosauri neogollisti stanno facendo pochino. Sarkozy si è limitato a un messaggio di sostegno su Facebook; con la consueta simpatia, ha fatto sapere ai giornalisti amici che vorrebbe tanto salire con Fillon su un palco, ma teme di surclassarlo nell’applausometro. Anche Juppé ha evitato comizi congiunti, ma almeno ieri l’ha accompagnato nella visita alla sede parigina di Deezer, azienda leader nella musica on demand. «Sono pronto a tutto — ha detto Juppé — pur di evitare uno scenario da incubo: il ballottaggio Mélenchon-Le Pen. Come scegliere tra la peste e il colera».
L'appestato e la colerosa
Neanche i candidati dell’estrema sinistra e dell’estrema destra hanno un partito. Mélenchon se ne farà uno dopo le presidenziali. Le Pen ha una setta: suo padre è il fondatore, il suo compagno il vicepresidente; l’unica deputata è sua nipote, i discorsi glieli scrive il cognato. Per Marine queste elezioni sono la sfida della vita. La vittoria di Trump l’ha convinta che può farcela anche lei; ma la volata lunga l’ha stancata e innervosita. Il sorriso Marion Maréchal-Le Pen, 27 anni, saluta il pubblico durante un comizio, a Marsiglia, in sostegno della zia Marine, candidata alle presidenziali Mélenchon resta indietro, però è cresciuto molto grazie ai duelli tv: è il più colto, la sua Francia è quella rivoluzionaria e letteraria di fine Ottocento, cita di continuo la Comune e Zola, i deportati in Nuova Caledonia e i minatori di Germinal; e queste cose ai francesi di sinistra piacciono. Fillon, che ne invidia lo charme, per irriderlo lo chiama «il capitano della corazzata Potiomkin»; lui definisce Fillon e Macron «santoni della magia nera, che trasformano le sofferenze del popolo in oro per sé».
I punti di contatto tra «la peste» e «il colera» sono impressionanti. Li divide solo l’immigrazione; non a caso ieri Marine a Marsiglia ha picchiato duro. Per il resto, sia lei sia Mélenchon sono per uscire dalla Nato e di fatto pure dall’Europa. Sono protezionisti. Sono contro gli ogm. Promettono la pensione a sessant’anni, più spesa sociale, più salario per i funzionari pubblici. Soprattutto, sono contro il sistema, le élites, l’establishment, i «media di regime» e la finanza, cui minacciano di rimborsare il debito In corsa Poster elettorali su un muro di Parigi. I volti sono (da sinistra) di Benoit Hamon (socialista); Emmanuel Macron (En Marche!, centro); Nathalie Arthaud (Lotta operaia, estrema sinistra); Marine Le Pen (Fronte nazionale, estrema destra); François Fillon (gollista)
pubblico in «moneta fiscale» o in franchi. Per questo i mercati guardano con terrore alla loro ascesa. La Francia da tempo non è un Paese dinamico, su cui investire alla ricerca del colpaccio; ma almeno era un Paese sicuro, a livello quasi tedesco. Queste presidenziali segnano l’ingresso nell’instabilità politica, dopo che il Bataclan aveva aperto l’era dell’instabilità emotiva. Ma se gli attentati del 13 novembre 2015 riunirono il Paese attorno a Hollande, l’attacco del 14 luglio 2016 a Nizza, con il disastro dell’intelligence, è stato per lui il colpo di grazia.
Hollande e il fantasma del Bataclan
Il presidente però è furibondo. È convinto di aver fatto l’errore della vita a non ricandidarsi. Oggi, in un quadro così frammentato, forse avrebbe la sua chance. In una dolente intervista-testamento ha maledetto il tempo che gli è dato in sorte: «Viviamo in una democrazia incapace di vedere la realtà. Tagliavo le tasse alle imprese, e finivo sui siti perché avevo la cravatta storta. Annunciavo nuovi posti di lavoro, e in rete mi prendevano in giro perché ero fradicio
L’ex premier François Fillon a sorpresa è in rimonta, perché è l’unico ad aver dietro la struttura gollista per quanto divisa