Via la populista Petry La Germania si fida ancora dei partiti storici
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
Questi movimenti nazionalisti non sono poi così portentosi. Ieri, la leader del movimento anti-immigrati Alternativa per la Germania (AfD), Frauke Petry, ha fatto sapere di non avere intenzione di candidarsi alla cancelleria alle elezioni del prossimo 24 settembre. In un video su Facebook, ne ha spiegato le ragioni, che si riassumono nel fatto che il partito è diviso tra un’ala moderata (si fa per dire) della quale lei è la prima rappresentante e un’ala estrema che in alcuni casi confina con posizioni neonaziste. Il dato di fatto è che AfD è in crisi, i consensi cadono e i suoi dirigenti litigano. Già visto.
La signora Petry ha forse anche ragioni personali per fare un passo indietro: è incinta, c’è chi dice che preferisca una scelta privata a una pubblica. Di base, però, è che il suo partito, del quale è co-presidente, sembra senza direzione in un Paese nel quale è chiaro che il nazionalismo non andrà a raccogliere più di una percentuale limitata di voti. Nel messaggio di ieri ha negato di cercare un accordo con la Cdu di Angela Merkel e ha aggiunto che gli elettori potenziali del partito sono scesi dal 30% del 2015 al 14%. Che è poi la questione essenziale per AfD: se la caduta di consensi continua, rischia di vedere messa in discussione la quota del 5% dei voti necessaria per entrare al Bundestag. Fondamentalmente, la Germania sta di nuovo convergendo verso i due partiti di massa storici, la Cdu-Csu di Merkel e la Spd di Martin Schulz: assieme sono attorno al 65% dei consensi, nei sondaggi; di fronte a questi vivaci dinosauri, i partiti piccoli sono annichiliti. Compresa Frau Petry.
@danilotaino