«I pasti, l’igiene i padri aggressivi Così sono riuscita a integrare tutti» «U
na volta me la sono vista brutta, mi sono dovuta chiudere in presidenza con una ragazza. Sapevo che suo padre non vedeva di buon occhio che lei frequentasse un ragazzo siciliano, mentre lui aveva già organizzato un matrimonio con uno straniero più grande. Un giorno lui è arrivato a scuola ubriaco e ha iniziato a dare di matto minacciando di ammazzare la figlia brandendo un coltello. Ho chiamato la polizia. Alla fine è stato rimpatriato, abbiamo aiutato la madre a trovare un lavoro e adesso vive serena con le due figlie».
Eccole, le storie di chi la battaglia per l’integrazione l’ha combattuta metro dopo metro, dalle trincee dei banchi di scuola: a raccontare è Melina Bianco, 48 anni, ex preside a Mazara del Vallo, e oggi dirigente dell’ufficio scolastico regionale, dove si occupa di integrazione e pari opportunità per il ministero dell’Istruzione. Il Nord-est e le storiacce di Islam estremista tra le pareti di casa sono lontani: qui siamo in Sicilia, «Tunisi è a 200 km, e a Mazara vive da tre generazioni una comunità magrebina», racconta Melina. Che dalla sua «esperienza educativa forte» tira fuori episodi che riempirebbero pagine e pagine di cronaca recente.
«Come quando in mensa ho visto che su molte vaschette c’era la M maiuscola.
Il velo Spesso è un falso problema, c’è chi lo indossa perché segna l’ingresso nell’età adulta
Era la pasta al forno senza prosciutto per i musulmani, che venivano chiamati ad alta voce dagli inservienti per la consegna. Un obbrobrio. Ho subito convocato una delegazione di ragazzi mazaresi e di origini straniere per trovare una soluzione. Abbiamo deciso insieme un menù. Sembrava risolto. Macché: il giorno dopo una quarantina di ragazzi musulmani mi ha chiesto un colloquio, spiegandomi che loro il pollo, se non veniva ucciso secondo i canoni religiosi, non potevano mangiarlo. Ero disperata. Poi l’intuizione: c’era un solo macellaio, tunisino, che a Mazara seguiva quella pratica. Ho preso accordi con la ditta che forniva i pasti: e, ricevute alla mano, ho dimostrato che il pollo potevano mangiarlo». Non aveva alcuna esperienza, Melina, di integrazione: ce l’ha fatta col buon senso, cercando ogni volta di trovare una soluzione che rispettasse gli orientamenti di tutti. Senza mai far arrabbiare nessuno? «Beh,qualche integralista non mi vedeva di buon occhio. Veniva a scuola e chiedeva del preside, al maschile. Quando gli dicevano che c’era una donna a dirigere, chiedeva del vicepreside».
E il velo? «Un falso problema. Ci sono ragazze che non vedono l’ora di metterselo perché corrisponde al momento in cui entrano nell’età adulta, altre che se lo tolgono senza problemi in classe per poi rimetterselo fuori scuola. Ma ci sono problemi ben più gravi, come l’igiene intima. Alcune straniere osservavano regole di pulizia personale differenti dalle nostre e risultava indispensabile intervenire. Ho cercato di farlo senza urtare la loro sensibilità, coinvolgendo operatori qualificati e compagne di classe. Partendo dagli studenti, tutto si può risolvere».