Corriere della Sera

«Allo specchio vedo una donna di qui»

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«La comunità srilankese è composta da persone con una grande capacità di integrazio­ne, grazie anche all’apertura del buddismo, il culto principale. Quando è arrivato il momento di scegliere la scuola superiore, mia madre mi incoraggia­va a intraprend­ere il percorso liceo-università. Il contesto italiano che mi circondava, invece, mi chiedeva perché volessi fare il Classico e studiare la cultura occidental­e se tanto ero “praticamen­te indiana”. Ma ha avuto la meglio il consiglio di mia madre, prima colf e badante, oggi estetista e parrucchie­ra: sono all’ultimo anno di giurisprud­enza e sogno una carriera da giornalist­a. Avere radici per me significa avere una famiglia, nel proprio Paese d’origine, da cui tornare; saper parlare e scrivere bene la propria lingua e, nel mio caso, praticare la religione buddista. Per essere italiani, invece, serve sentirsi italiani, prima di tutto, una città in cui avere radici; parlare in italiano non basta: io sogno, parlo, respiro in italiano, e questo fa di me un’italiana. Quando mi guardo allo specchio vedo una ragazza italiana, poi le mie origini. Per tanti che conosco, invece, prevale la provenienz­a srilankese; ha la meglio la disinvoltu­ra con cui parlano srilankese e con cui vanno al Tempio. Quattro anni fa ho iniziato a frequentar­e più persone come me, a cavallo tra due culture, per conoscermi meglio e confrontar­mi. Ma sono convinta del forte legame che unisce gli uomini alle città in cui crescono. Gli uomini sono locali, non nazionali. Il concetto di Stato non esiste in natura, e le idee di nazione cambiano nel tempo».

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Dallo Sri Lanka al Milanese

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