Corriere della Sera

«Tanti no alla colletta per un ragazzo malato»

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In classe di mio figlio, seconda media, un ragazzo ha contratto una malattia molto grave. In casi come questo, chi ci è passato lo sa, la famiglia viene totalmente sconvolta, e tutto diventa difficile. Ci siamo attivati per dare una mano: e non potendo dare altro se non un aiuto materiale, abbiamo chiesto alle famiglie dei compagni di classe di dare un contributo economico: 20 euro a famiglia. Si è scatenato il finimondo. Tra chi voleva darne solo 5 e chi non ha neanche risposto, si è visto e sentito di tutto. Una mamma ha obiettato: «Cose brutte ne succedono a tutti, tutti i giorni, quindi che si fa?». Voleva dire, a me che importa se la gente intorno a me si ammala, viene ammazzata, affoga nel Mediterran­eo o viene mandata nelle camere a gas? La cosa più importante per me è non vedere, non capire, interessar­mi del mio piccolo mondo per essere certa che quello, quello sì, non sia sconvolto. E se per caso qualcuno cerca di mostrarmi le cose brutte che mi accadono intorno, io m’arrabbio, insulto, nego. Ecco come facciamo ogni giorno a fregarcene di tutto e tutti. Se riusciamo a considerar­e «diverso» e quindi non degno di attenzione, di empatia anche il compagno di scuola gravemente malato dei nostri figli, come possiamo lontanamen­te pensare di cambiare la nostra società e renderla più equa, «vaccinata» da odio razziale, corruzione e iniquità? Ho paura che la guerra dell’umanità contro le ingiustizi­e, con tali presuppost­i, sia persa in partenza. Marco C. Ogni giovedì un caso di malasanità, o di disservizi­o pubblico; ma anche un ristorante dove si è mangiato male, un ufficio dove si è stati trattati peggio

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