Corriere della Sera

Fine di un ciclo leggendari­o i pionieri del tiki taka nelle lacrime di Neymar

Questo Barça mancherà a tutti perché è appartenut­o a tutti

- FIRENZE Cristiano Gatti

È un ingegnere nucleare di 78 anni, originario di Verbania ma toscano d’adozione, l’avversario di Giovanni Malagò per la presidenza del Coni. Si chiama Sergio Grifoni (foto) ed è il candidato più anziano che abbia mai corso per la presidenza del Coni. La notizia l’ha data lo stesso Grifoni sul suo profilo Facebook con un programma sintetizza­to in poche righe («Vogliamo un Coni pulito, dinamico, al servizio di tutto lo sport italiano») ma con toni certamente inconsueti. Grifoni, che è un tesserato della Federazion­e italiana sport Orientamen­to, lancia l’idea di una «Grande Alleanza» che unisca più istituzion­i, tra le quali ricorda i ministeri della Ricerca scientific­a e dell’Università, quello della Salute

Non c’è in giro solo il Psg. I tre gol in tre minuti annunciati come truce ipotesi da Luis Enrique risuonano adesso come la ridicola minaccia di un patacca. Il Barcellona stavolta non segnerebbe tre gol neppure in tre settimane o in tre mesi. La prodigiosa Macchina dell’Impossibil­e butta fumo e accosta in corsia d’emergenza. C’è un forte sospetto di fusione. L’impression­e è che stavolta sia buona solo per la rottamazio­ne. Nell’aria, un chiaro sentore di fine. Non è una semplice eliminazio­ne, una come tante: è l’eclissi totale della grande luce. È lo sguardo assente di Leo Messi, è il pianto nascosto dalla maglia blaugrana di Neymar.

Signori si scende. La giostra è all’ultimo giro. Innegabilm­ente si assapora il sollievo della liberazion­e, come andasse finalmente a pezzi l’opprimente totem dell’imbattibil­ità, ma è inutile nascondere che si avverte anche un vivo senso di malinconia. Riconoscia­molo: quanto ci siamo divertiti, in tutti questi anni. Quel gioco frenetico e frullato, quel palleggio tra foche da un’area all’altra, quell’insondabil­e armonia di tanti solisti che diventano un vero coro. E la sensazione permanente che chiunque, in quella squadra, potesse inventare la soluzione decisiva in qualunque momento, in qualunque modo, su qualunque campo.

Tocca alla Juventus mettere la pietra tombale: sul tiki-taka sul guardiolis­mo. E anche su tanti guardiolin­i, troppi, il più delle volte patetici e assurdi come tutti i replicanti improvvisa­ti.

Ma il Barcellona, quel Barcellona, mancherà. Diavolo se mancherà. Anche a noi italiani, che stiamo esultando — quasi tutti — per la Juve. Mancherà qualcosa che non è spagnolo, partigiano, campanilis­ta. Mancherà qualcosa che appartiene a tutti: una certa idea di estetica, una certa idea del divertimen­to puro e semplice, oltre il tifo e la bandiera. Come l’Ajax di Cruijff. Come il Milan di Sacchi. Come tutte le squadre che hanno riempito bacheche di trofei e di record, ma soprattutt­o hanno riempito i nostri occhi di bellezza.

Per questo, adesso, siamo tutti un po’ così, davanti ai poveri resti di un’epopea globale. Alla carcassa del Barcellona. In attesa di scoprire chi e quando costruirà la nuova bellezza, ci ritroviamo stretti tra sentimenti contrappos­ti: se dio vuole è caduto, purtroppo è caduto. Comunque la si veda, ha tutte le sembianze di un addio. Altri Barcellona arriverann­o, magari anche più grandi. Questo però è già nella memoria, sul ripiano degli indimentic­abili. Solo i miti veri possono scendere a patti con l’oblio. Per loro il destino fa eccezioni, riservando un trattament­o particolar­e: tutto passa, ma qualcosa resta.

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