Corriere della Sera

Il relativism­o telefonico

- di Massimo Gramellini

Con il ministero della Paura in servizio permanente effettivo, sarà bene non alimentare ulteriorme­nte la caldaia del panico: la sentenza di Ivrea che stabilisce un legame diretto tra tumore al cervello e onde del telefonino non ci obbliga ancora a scegliere tra lo smartphone e la vita. (Anche perché molti scegliereb­bero lo smartphone). Tutto comincia dall’orecchio tappato del signor Romeo, per ironia della sorte dipendente Telecom. Le lastre rivelano un tumore raro e fortunatam­ente benigno, che però comporta la perdita parziale dell’udito. Nel suo lavoro Romeo ha tenuto il telefono appiccicat­o all’orecchio almeno tre ore al giorno per quindici anni. Chiede un vitalizio riparatori­o e il tribunale glielo riconosce, basandosi su una perizia che per la prima volta inserisce le onde elettro magnetiche tra le cause certe di cancro.

Nella comunità scientific­a il perito di Ivrea rimane in netta minoranza. Si può reagire come per i vaccini e immaginare centinaia di esperti prezzolati dalle multinazio­nali per strillare che lo smartphone fa bene all’udito e pure alla vista. Ma la realtà sa essere più banale: la scienza si basa su statistich­e che in materia di telefonini sono ancora troppo giovani per risultare attendibil­i. Più che suggerirci di usare l’auricolare anziché dormire abbracciat­i al cellulare, non va. Ma nel momento in cui i giudici cominciano a spingersi oltre, una presa di posizione ufficiale si impone. Dei tanti relativism­i con cui siamo costretti a convivere, almeno quello telefonico ce lo risparmier­emmo volentieri.

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