«Incontro tra Serraj e Haftar a Washington»
la visita del presidente del Consiglio italiano, che è e resta il grande sponsor del governo Serraj e il principale attore per una stabilizzazione del Paese. Paolo Gentiloni ieri lo ha detto chiaramente, sia fuori che dentro la Casa Bianca: «Dalla Libia dipendono molte cose: la stabilizzazione degli altri Paesi, dalla Tunisia all’Egitto; la possibilità di bloccare i flussi di migranti e il traffico relativo, cosa che incide in modo non secondario sul terrorismo; l’equilibrio in definitiva di tutta l’area del Mediterraneo».
Se il passo diplomatico di Washington sia stato suscitato in modo decisivo da Palazzo Chigi ovviamente non è dato sapere. Ma non può essere una coincidenza che la visita del nostro presidente del Consiglio coincida con la notizia, per quanto ufficiosa, di un invito congiunto degli americani sia al generale Haftar che al premier in carica Serraj.
Sino a oggi il rapporto fra i due personaggi è stato costellato da incomprensioni, mancati incontri, fallimenti dei tentativi (deboli) fatti dagli egiziani, e condizionato anche dall’atteggiamento della Francia, che «formalmente» sostiene Serraj ma che non vede di buon occhio una stabilizzazione del Paese secondo linee guida definite in sede Onu, con il decisivo contributo di Palazzo Chigi e Farnesina. Sullo sfondo, ci sono ovviamente anche enormi interessi economici: gas e petrolio libico, ricostruzione del Paese, influenza politica e commerciale. Non tutti vogliono lasciare questo ruolo all’Italia, ma nemmeno Roma ha intenzione di fare un passo indietro, rispetto a quanto fatto finora. Se possibile, da domani, con l’aiuto della Casa Bianca.