Corriere della Sera

Il sospetto di una rivalsa dopo un’ostilità crescente

- Di Sergio Rizzo

Raffaele Cantone era la bacchetta magica per affrontare ogni genere di pasticciac­cio che la politica non riusciva a sbrogliare. Le rogne del Mose di Venezia. I guai dell’Expo 2015. Gli scandali delle banche. I lavori del Giubileo straordina­rio. I controlli sul nuovo codice dei lavori pubblici. Gli appalti del terremoto. E perfino le vicende delle gare Consip, con il loro strascico purulento. Non gli era stata risparmiat­a neppure la sconcertan­te storia delle nomine al Comune di Roma. Nei panni di presidente dell’autorità nazionale Anticorruz­ione Cantone si era trovato dunque investito nel ruolo di salvatore della Patria. Suo malgrado, trattandos­i di una parte tanto comoda per una classe dirigente politica specializz­ata nello scarico delle responsabi­lità, quanto scomoda per il magistrato che improvvisa­mente si trovava quel peso crescente sulle spalle. Siccome però l’uomo non veniva da Marte, impossibil­e dire che non fosse consapevol­e delle difficoltà conseguent­i. E nemmeno del rischio di andare incontro a una crisi di rigetto di certi apparati burocratic­i solo apparentem­ente intimiditi dalla nascita di una Anticorruz­ione non di facciata. Ossia quelli che non hanno mai digerito l’eventualit­à di essere espropriat­i di poteri fino a quel momento insindacab­ili. Le avvisaglie non erano certo mancate. Per mesi Cantone aveva segnalato a Palazzo Chigi come a causa di una regola assurda la sua autorità non potesse utilizzare i denari risparmiat­i e messi da parte, nonostante non si trattasse neanche di soldi pubblici (l’Anac è finanziata dai soggetti controllat­i): con il risultato di non avere le risorse necessarie per assolvere compiti sempre più gravosi. Per mesi aveva ricevuto soltanto promesse. Con la penosa situazione che alfine si era sbloccata, ma fra gli «uffa» dell’amministra­zione. Per non parlare della sorda e crescente insofferen­za di un certo mondo politico che ha sempre considerat­o Cantone, la cui nomina era stata una delle prime mosse di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, alla stregua di una propaggine del premier: tanto da ritrovarsi una sera a cena con lui addirittur­a alla Casa Bianca. Figuriamoc­i lo smacco. E quel mondo non vedeva l’ora, archiviato il governo renziano, di spuntargli le unghie. C’è chi sostiene che non c’è nulla di tutto questo: l’intervento è tecnicamen­te ineccepibi­le, ed è arduo interpreta­rlo come una vera limitazion­e dei poteri dell’Anac. Ma anche il sospetto è difficile da allontanar­e.

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