«Estrema sinistra in malafede, ma lo strappo si può ricucire»
fedeltà ai valori della Resistenza l’associazione mette la mano sul fuoco.
«Eppure equiparare la bandiera della Brigata ebraica a quella del popolo palestinese significa non conoscere la storia. Ho avuto l’onore di conoscere Massimo Rendina (il vicepresidente Anpi morto nel 2015, ndr) e so che oggi si rivolterebbe nella tomba».
I partigiani rilanciano l’invito all’unità. Perché a Milano è possibile marciare assieme e a Roma no?
«Perché lì ci sono numeri da manifestazione nazionale, un servizio d’ordine che tutela i simboli della Brigata ebraica e le provocazioni sono state in tono assai minore rispetto a Roma, dove si è arrivati a contestare Renata Polverini quando guidava la Regione e Nicola Zingaretti quando era alla Provincia. Anche Ignazio Marino prese le distanze».
Influiscono di più questi fatti, il dato storico o il conflitto israeliano-palestinese?
«Tutti e tre. La Brigata combatteva con i partigiani, il Gran Muftì era alleato dei nazisti. La comunità ebraica ha radici decennali a Roma e non può finire nella lista degli “ospiti stranieri”. E se si voleva invitare un popolo oppresso, ma qui non entro nel merito, perché non chiamare i siriani o i cubani? Questa è una provocazione politica. La bandiera palestinese non può esserci, i palestinesi sono i benvenuti. Direi lo stesso per i giapponesi».
Equiparare Brigata e palestinesi significa non conoscere la storia
Lo strappo è ricucibile?
«Sì, ci sono cinque giorni per farlo. È paradossale che mentre anche il centrodestra comincia a vivere questa festa in senso unitario, la sinistra estrema se ne allontani».