Corriere della Sera

«In ufficio scortato e non usi la mail» L’arrivo di Rota, un milanese all’Atac

L’ex manager dell’Atm chiamato a governare l’azienda dei trasporti romana

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un po’ come il capitano Bellodi, l’ufficiale dei carabinier­i del «Giorno della Civetta» di Leonardo Sciascia sbarcato in Sicilia da Parma. Quello a cui il padrino del villaggio spiega che tutti gli altri sono «mezz’uomini, ominicchi e quaquaraqu­à».

La versione Atac 2017 del romanzo di Sciascia, Rota l’ha sperimenta­ta prima ancora di aprire un proprio indirizzo di posta elettronic­a aziendale. Qualcuno gli ha consigliat­o di non utilizzarl­o «per i documenti delicati». Non che situazioni del genere intimidisc­ano uno come Rota. Anche all’Atm di Milano, quando arrivò lui nel 2011, molti contratti di fornitura venivano ancora assegnati senza gare d’appalto e ci fu chi non si fece scrupoli per provare a difendere (fallendo) interessi opachi.

Del resto per questo manager laureato alla Bocconi con un aiuto della fondazione Cariplo ai ragazzi meritevoli di famiglie umili, forte di esperienze dall’Alfa Romeo pubblica fino alla sua piccola impresa edile, quello che conta non è mai l’affiliazio­ne politica. Ha iniziato da presidente e direttore generale di Atm prima ancora di conoscere l’allora sindaco del centrosini­stra Giuliano Pisapia. È stato chiamato È l’azienda dei trasporti della Capitale, di alcuni comuni della città metropolit­ana di Roma e della provincia di Viterbo. Ha finito per accumulare perdite per oltre 1,5 miliardi di euro alla Milano-Serravalle dal primo cittadino del centrodest­ra milanese dell’epoca, Gabriele Albertini. Quel che vale per un gestore di aziende pubbliche di questo tipo sono in primo luogo i numeri. I bilanci parlano molto più sinceramen­te dei politici e anche all’Atac ci si è subito tuffato dentro. Con costi operativi da oltre un miliardo, l’azienda registra ricavi da biglietti per non più di 240 milioni, mentre tutto il resto sono trasferime­nti pubblici e perdite (da ben oltre cento milioni l’anno nell’ultimo triennio). A titolo di confronto, sotto Rota l’Atm di Milano è arrivata a incassare dai biglietti 420 milioni di euro l’anno su 970 milioni di entrate. Uno dei segreti è stata l’installazi­one dei tornelli in uscita dal metrò: una questione di giustizia, secondo Rota, della quale Atac può beneficiar­e ancora più di Atm perché la società di Roma può trattenere tutti i ricavi da clientela senza passarli al Comune.

Ma questo verrà dopo, gradualmen­te. Prima appunto bisogna fare luce sui numeri, e non sarà facile. Alla prima presentazi­one sull’andamento dei conti, a Rota hanno mostrato solo le variazioni sul bilancio preventivo ma non quelle sull’anno precedente. Lui da sempre lavora su quelle degli ultimi cinque anni e presto le esigerà anche a Roma. Del resto è convinto di poter azzerare le perdite entro i prossimi due o tre esercizi, disboscand­o gli abusi e facendo pagare qualche biglietto in più a chi oggi evade.

Ma non è quello il punto. Anche con questa cura da cavallo, l’Atac resta oppressa da debiti fra 1,2 e 1,3 miliardi di euro e nessuna possibilit­à di sostenerli. L’azienda, tecnicamen­te, è vicinissim­a al fallimento. Solo una netta discontinu­ità societaria può darle un futuro, anche nella tutela dei posti di lavoro. Questa resta però una scelta della politica. E i Cinque Stelle della sindaca Virginia Raggi, a ben vedere, non sembrano meno conservato­ri di tutti quelli che li hanno preceduti.

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