Il giudice: tumore perché usò troppo il cellulare
Il tribunale di Ivrea riconosce la correlazione tra l’utilizzo scorretto del telefonino e la malattia L’Inail condannata a risarcire un dipendente. «Dal ‘95 al 2010 parlavo almeno tre ore al giorno»
Per 15 anni Roberto Romeo ha usato il telefono cellulare per tre, quattro ore al giorno. Lo utilizzava per lavoro: «Sono un tecnico Telecom — dice —, mi occupavo di manutenzione e di installazione di impianti. Nel 2010, dopo una risonanza magnetica, ho scoperto di essere malato di cancro». Un tumore contratto a causa dell’uso prolungato e intensivo del telefono cellulare. Non ha avuto dubbi il giudice del Lavoro di Ivrea Luca Fadda che ha stabilito che esiste un legame di tipo causale tra il tumore al cervello che ha colpito l’uomo e quelle lunghe telefonate.
La sentenza riconosce in sostanza «la piena plausibilità dell’effetto oncogeno delle onde elettromagnetiche dei cellulari». Il tribunale eporediese ha quindi condannato l’Inail a corrispondere alla parte lesa la rendita vitalizia da malattia professionale.
La consulenza tecnica
A convincere il giudice a pronunciare una sentenza di condanna è stata la consulenza tecnica d’ufficio eseguita dal professor Paolo Crosignani, secondo cui è proprio l’uso del cellulare ad aver causato il «neurinoma dell’acustico, tumore benigno ma invalidante», nell’uomo di 57 anni che per conto della Telecom ha dovuto utilizzare il cellulare tutti i giorni dal 1995 al 2010, perché questo richiedeva il suo impiego.
Il possibile effetto oncogeno delle onde elettromagnetiche dei cellulari era stato affrontato nel 2011 dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, mentre la Corte d’appello di Brescia, nel 2009 (e di conseguenza la Cassazione nel 2012 a conferma di Brescia), aveva individuato lo stesso effetto attraverso una sentenza che ribaltava quella di esito opposto pronunciata in primo grado. A Ivrea, invece, il legame causa-effetto è stato riconosciuto già al termine del primo procedimento. «Il fatto che nel 2017 i tribunali italiani riconoscano fin dalle prime battute la causa oncogena insita nei campi elettromagnetici generati dai cellulari — hanno spiegato gli avvocati Renato Ambrosio e Stefano Bertone che hanno assistito il tecnico — è il segno del continuo avanzamento delle conoscenze scientifiche».
La class action
Una sentenza «che apre la strada alla class action che il Codacons sta studiando in favore di tutti i possessori di telefonini, per i rischi alla salute corsi attraverso l’utilizzo dei telefonini», ha annunciato il presidente dell’associazione Carlo Rienzi. Un’azione collettiva che vedrà tra i destinatari anche l’Inail, che ancora non ha inserito tra le malattie professionali quelle causate dall’uso dei cellulari.
«Intanto — ha concluso Rienzi — attendiamo la decisione del Tar sul nostro ricorso volto a ottenere avvertenze sulle confezioni del telefonini circa i rischi per la salute umana», al pari delle indicazioni presenti sui pacchetti di sigarette. «Per me questa sentenza rappresenta una grande vittoria — aggiunge Roberto Romeo —, ma non intendo demonizzare l’uso del telefono cellulare. Vorrei evitare ad altri quello che è successo a me e dire alla gente che bisogna saper usare il cellulare nel modo corretto».
All’epoca non c’erano avvertenze, «purtroppo nessuno ci spiegava cosa fare — conclude Romeo —. Ce ne andavamo in giro con il cellulare sempre appiccicato all’orecchio. Il vivavoce non esisteva o era difettoso. Non c’erano gli auricolari e utilizzavo in continuazione il telefonino, anche quando viaggiavo in auto».
In Italia, secondo i legali di Romeo, manca l’informazione sui rischi, «mentre in altri Stati europei come Francia, Belgio, Irlanda e Finlandia — ha sottolineato l’avvocato Bertone — i governi hanno stabilito norme di utilizzo e divieti, ad esempio bandendo le pubblicità destinate ai bambini e le immagini che ritraggono persone mentre sono al telefono».