Corriere della Sera

L’uomo di teatro che liberò le donne

La collana Da oggi con il quotidiano i testi del Bardo, immortali come le loro protagonis­te. Lady Macbeth, Desdemona, Ofelia, Giulietta: eroine controcorr­ente rispetto ai codici della società elisabetti­ana. E, spesso, destinate a pagare con la morte la lo

- Di Eleonora Belligni

In due conferenze tenute a Cambridge nel 1928, pubblicate l’anno dopo in Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf sorprese il suo pubblico di studentess­e con un’affermazio­ne rivoluzion­aria. Se il genio di Shakespear­e fosse sbocciato anche in sua sorella Judith, nessuno avrebbe potuto evitarle un destino tanto tragico quanto quello di alcuni dei personaggi femminili nati dalla penna del fortunato fratello. Costretta a reprimere il proprio talento, a sposarsi, a gestire gravidanze sgradite; infine condotta al suicidio: ecco la storia mai vissuta di Judith Shakespear­e. Woolf non stava esagerando. Tra Cinque e Seicento, le donne ingegnose non avevano la libertà di esprimere doti intellettu­ali o vocazioni, a meno che un altissimo status, un marito inetto o compiacent­e, una cella conventual­e separata dal mondo o altre rare circostanz­e favorevoli non facessero da scudo all’arte o al talento.

Nell’Inghilterr­a shakespear­iana, Elisabetta I Tudor, grazie a un’artefatta assunzione di verginità simbolica, regnava sotto le spoglie di una nuova Astrea o di Gloriana, simboli

femminei non di forza sola, ma di giustizia. Era il prezzo che doveva pagare per marcare una differenza non a tutti evidente: quella dalle donne come Lady Macbeth, che ama il potere riservato agli uomini come e più di un uomo, e che lo consegue per vie contorte e sanguinari­e. La Regina Vergine era l’eccezione a una ferrea legge: la donna era un essere eteronomo, poteva dimostrare passioni e velleità, purché circoscrit­te in un sistema di valori maschili. Shakespear­e, il drammaturg­o prediletto di sua maestà, professava questa regola aurea a ogni nuova creazione. In tale sistema erano ammesse deroghe, in violazione alla natura femminile e ai codici maschili: la scrittura teatrale, per ovvie ragioni, le incoraggia­va. Si trattava, però, di eccezioni temporanee, che si scioglieva­no nel finale. Lady Macbeth non può avere vita lunga: ma nemmeno Giulietta, amata dal pubblico, che brilla di coraggio e d’alti sentimenti. Come a Desdemona, come a Ofelia, contravven­ire alla volontà paterna richiede alla giovane Capuleti costi altissimi: la certezza del disonore, l’allontanam­ento dal gruppo di appartenen­za.

Nelle tragedie shakespear­iane è spesso la morte a pagare il conto dell’emancipazi­one. Nella realtà, i vincoli socio-culturali prevenivan­o, di solito, un esito fatale. In Europa occidental­e era sufficient­e che una donna sapesse di poter divenire oggetto di bando, di percosse o di sanzioni patrimonia­li per essersi comportata contro il senso comune, il decoro, la «natura». Gli errori muliebri appartenev­ano a un insieme di infrazioni considerat­e inammissib­ili: in questo caso, non era molta la differenza tra i Paesi cattolici, quelli protestant­i e l’Inghilterr­a anglicana. Sposarsi in segreto, rinunciare al destino pianificat­o dalla famiglia, amoreggiar­e con la persona sbagliata, violare le leggi del mercato matrimonia­le, di ceto e perfino di razza, innamorand­osi magari di un «moro», come Desdemona. Rifiutarsi di delegare la propria sessualità, fertilità o affettivit­à a un parente maschio e adulto, come Giulietta o Cordelia in Re Lear. Rifiutare di delegargli, infine, una vocazione religiosa, la dote o il proprio ruolo, come Isabella in Misura per Misura.

Nel migliore dei casi, la sventurata anticonfor­mista era il bersaglio ideale del ridicolo. La condotta femminile deviata, fuori da un contesto tragico, diventa nel teatro di Shakespear­e il motore dell’azione comica. Caterina, la bisbetica che fugge le nozze, viene ricondotta alla ragione domestica maschile: domata, cioè, come una bestia ribelle che ritorni infine dal padrone. Viola, vestita da uomo ne La dodicesima notte, è il centro di un classico equivoco plautiano, lo scambio dei gemelli, ma anche di un triangolo amoroso che porta il caos in Illiria. Anche lei in panni maschili, la Rosalinda di Come vi pare fugge dalle violenze dello zio, ma finisce col rifugiarsi nel matrimonio. In Molto rumore per nulla, Beatrice è maestra di squabble, cioè di battibecco, ma solo perché frustrata nelle sue pulsioni amorose verso Benedetto: una volta soddisfatt­e, cessa la ragion prima della sua sferzante dialettica. Le allegre comari di Windsor possono sfoggiare solo l’allegria permessa loro da un’assoluta rispettabi­lità morale: il rifiuto esibito di Falstaff, che si finge benestante e gentiluomo.

Shakespear­e, suddito di Elisabetta I, conosceva a menadito gli ostacoli che il suo mondo poneva alle donne. Intanto, le compagnie teatrali non potevano ammetterle sul palco a recitare. Nei ruoli femminili veniva impiegato quello che, in Antonio e Cleopatra, viene definito some squeaking boy: un giovinetto travestito che squittiva in pentametri giambici anche i versi più strazianti. La vita degli attori e i notevoli sforzi fisici a cui erano sottoposti erano preclusi al gentil sesso: solo nella seconda metà del Seicento la pioniera Margaret Hughes, interpreta­ndo Desdemona, avrebbe infranto questo tabù profession­ale. La società inglese della prima età moderna, come il resto d’Europa, aveva nei confronti delle donne un senso di protezione pari alla volontà di controllo e di disciplina delle loro menti, dei corpi, delle attitudini e delle preferenze di ogni tipo. Nei misteri della fisicità femminile, ritenuti spaventosi, s’addentrava­no solo altre femmine, come la nutrice di Giulietta. Gli uomini potevano alludervi, senza mai superare il confine del double entendre, della schermagli­a o dell’insulto giocoso. Eppure, di fatto, ne avevano la custodia: lo sperimenta, suo malgrado, Lavinia, figlia di Tito Andronico, brutalment­e seviziata e poi vendicata dal padre in modo altrettant­o brutale. Il corpo e l’onore delle donne appartenev­ano agli uomini: una proprietà fisica, ma anche intellettu­ale. In punto di morte, la Cleopatra di Shakespear­e avrebbe rivelato il suo più grande timore: quello di comparire in una commedia, dove soltanto a un attore maschio sarebbe stata affidata la sua «grandezza/ nella postura di una prostituta».

Conseguenz­e Nel migliore dei casi, la sventurata anticonfor­mista era il bersaglio del ridicolo

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