Unico e intramontabile Ecco il vero classico
La sua scrittura multiforme non passa mai di moda E attira il lettore chiedendogli un’attenzione speciale
Se parliamo di classici, o meglio se insistiamo a invocare la necessità dei classici, ci accorgiamo che essi lo sono fino a un certo punto. Lo sono per un po’ di tempo, lo sono per un decennio o due, poi spariscono, intendo dai cartelloni dei nostri teatri. Poi forse riappaiono, fanno capolino, ah c’era anche Goldoni, lo avevamo dimenticato. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, se ne avevano le tasche piene, non c’erano che Goldoni, Pirandello e Brecht. Noi, spettatori assidui, eravamo infuriati, esasperati. Infine le cose cambiarono, nessuno fu davvero dimenticato, ma arrivarono altri classici, in prevalenza quelli che chiamiamo classici moderni, ossia contemporanei. Capimmo che anche i classici hanno il loro tempo, hanno cioè una scadenza. L’unico autore non di questo tipo, l’unico classico imperituro, quello che dura per sempre, è Shakespeare.
Perché questa differenza tra Shakespeare e gli altri? Secondo me non è un mistero, nulla in letteratura o in teatro è un mistero. Si tratta di analizzare, di capire i testi, i testi se a lungo interrogati alla fine dicono la verità. Shakespeare non ha i suoi decenni, quelli in cui lo si ama di più, lo si mette in scena più d’ogni altro classico, per la semplice ragione che la sua opera è prima di tutto multiforme, in secondo luogo ricca, in terzo (ma non faccio che ripetermi) profonda. Il vero problema di Shakespeare nasce semmai da queste sue qualità, dalla sua natura. Essa da una parte ci attira, ci chiama a sé, ci ripete: «Tornate a leggermi, capirete cose nuove, o diverse»; da un’altra, opposta, ci tiene a distanza: «Sono troppo per voi». Almeno così in Italia.
Credo in Inghilterra, o nei Paesi dove si parla la sua stessa lingua, le cose siano diverse, la lingua e le traduzioni sono sempre un problema. In Italia, sui nostri palcoscenici (come sanno bene i direttori di teatro), Amleto o Otello sono comunque un richiamo, assicurano pubblico. E tuttavia a proporlo si esita, almeno un poco. Gli spettacoli tratti da opere di Shakespeare saranno lunghi e noi siamo sempre più impazienti e bramosi di velocità; avranno molti attori e quindi costeranno molto; dovranno avere scenografie importanti e il costo aumenterà. Ma soprattutto l’esperienza di assistere a una commedia o una tragedia di Shakespeare, oltre che la sua impagabile remunerazione, implicherà un atto di fede. Shakespeare, per quanto all’ingrosso o al dettaglio si pensi di conoscerlo, richiede un’attenzione speciale. Non si può pensare ad Amleto come all’infelice principe; e non si può pensare a Otello come l’uomo tradito e pazzo di gelosia. Così sarebbe facile e Shakespeare non sarebbe Shakespeare.
Mi ricordo che da ragazzo lo temevo, mi preparavo, lo leggevo e cercavo di leggere ciò che era stato scritto sul testo che mi accingevo a vedere. Anche adesso in fondo lo temo. Ma almeno so con un pizzico di cognizione in più che andare a vedere (o anche soltanto leggere) non sarà vano. Amleto, Otello, Lear, Falstaff, Macbeth, Prospero sempre ci compenseranno dell’iniziativa che avremo reso — di accostarci all’unico classico che non tramonta mai.