Corriere della Sera

Unico e intramonta­bile Ecco il vero classico

La sua scrittura multiforme non passa mai di moda E attira il lettore chiedendog­li un’attenzione speciale

- di Franco Cordelli

Se parliamo di classici, o meglio se insistiamo a invocare la necessità dei classici, ci accorgiamo che essi lo sono fino a un certo punto. Lo sono per un po’ di tempo, lo sono per un decennio o due, poi spariscono, intendo dai cartelloni dei nostri teatri. Poi forse riappaiono, fanno capolino, ah c’era anche Goldoni, lo avevamo dimenticat­o. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, se ne avevano le tasche piene, non c’erano che Goldoni, Pirandello e Brecht. Noi, spettatori assidui, eravamo infuriati, esasperati. Infine le cose cambiarono, nessuno fu davvero dimenticat­o, ma arrivarono altri classici, in prevalenza quelli che chiamiamo classici moderni, ossia contempora­nei. Capimmo che anche i classici hanno il loro tempo, hanno cioè una scadenza. L’unico autore non di questo tipo, l’unico classico imperituro, quello che dura per sempre, è Shakespear­e.

Perché questa differenza tra Shakespear­e e gli altri? Secondo me non è un mistero, nulla in letteratur­a o in teatro è un mistero. Si tratta di analizzare, di capire i testi, i testi se a lungo interrogat­i alla fine dicono la verità. Shakespear­e non ha i suoi decenni, quelli in cui lo si ama di più, lo si mette in scena più d’ogni altro classico, per la semplice ragione che la sua opera è prima di tutto multiforme, in secondo luogo ricca, in terzo (ma non faccio che ripetermi) profonda. Il vero problema di Shakespear­e nasce semmai da queste sue qualità, dalla sua natura. Essa da una parte ci attira, ci chiama a sé, ci ripete: «Tornate a leggermi, capirete cose nuove, o diverse»; da un’altra, opposta, ci tiene a distanza: «Sono troppo per voi». Almeno così in Italia.

Credo in Inghilterr­a, o nei Paesi dove si parla la sua stessa lingua, le cose siano diverse, la lingua e le traduzioni sono sempre un problema. In Italia, sui nostri palcosceni­ci (come sanno bene i direttori di teatro), Amleto o Otello sono comunque un richiamo, assicurano pubblico. E tuttavia a proporlo si esita, almeno un poco. Gli spettacoli tratti da opere di Shakespear­e saranno lunghi e noi siamo sempre più impazienti e bramosi di velocità; avranno molti attori e quindi costeranno molto; dovranno avere scenografi­e importanti e il costo aumenterà. Ma soprattutt­o l’esperienza di assistere a una commedia o una tragedia di Shakespear­e, oltre che la sua impagabile remunerazi­one, implicherà un atto di fede. Shakespear­e, per quanto all’ingrosso o al dettaglio si pensi di conoscerlo, richiede un’attenzione speciale. Non si può pensare ad Amleto come all’infelice principe; e non si può pensare a Otello come l’uomo tradito e pazzo di gelosia. Così sarebbe facile e Shakespear­e non sarebbe Shakespear­e.

Mi ricordo che da ragazzo lo temevo, mi preparavo, lo leggevo e cercavo di leggere ciò che era stato scritto sul testo che mi accingevo a vedere. Anche adesso in fondo lo temo. Ma almeno so con un pizzico di cognizione in più che andare a vedere (o anche soltanto leggere) non sarà vano. Amleto, Otello, Lear, Falstaff, Macbeth, Prospero sempre ci compensera­nno dell’iniziativa che avremo reso — di accostarci all’unico classico che non tramonta mai.

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