La coscienza di Amelio
«La tenerezza» Spunti autobiografici nel nuovo film dell’autore Un settantenne arido e due figli assenti Ritratto di famiglia tra dolore e misteri
Dopo tutta una carriera in cui si era confrontato con la realtà intorno a lui (le ultime regie erano addirittura documentari, sull’ostracismo verso gli omosessuali e le rigidità del nostro sistema educativo), Gianni Amelio si ripiega un po’ a sorpresa sul privato, come alla ricerca di risposte (e di domande) che fino a poco tempo fa sembravano star fuori dal suo cinema. Forse conseguenza dell’età — ha già superato i settanta — forse di un più ampio percorso di ripensamento e riflessione, cui si deve anche il romanzo parzialmente autobiografico Politeama, uscito l’anno scorso. E che si tratti di un percorso non del tutto compiuto lo dimostra anche il titolo antifrastico, La tenerezza, che il protagonista e chi gli sta vicino cercano di negare per quasi tutta la durata del film, scelto per inaugurare domani sera il Bari International Film Festival.
Costruito intorno al volto austero e ispido di Renato Carpentieri, l’avvocato Lorenzo Bonsignore passa le sue giornate «consumando le scarpe» tra i vicoli della sua Napoli: ha abbandonato la professione (di cui scopriremo non è stato integerrimo rappresentante) e dopo la morte della moglie ha di fatto chiuso i ponti anche coi figli, Saverio (Arturo Muselli) e soprattutto Elena (Giovanna Mezzogiorno), che ha ereditato il suo stesso «pessimo» carattere e lavora in tribunale come traduttrice giurata per imputati di lingua araba. Perché questo gelo, il film non lo spiega, se non con vaghe e contraddittorie allusioni a una relazione di Lorenzo quando la madre era ancora in vita, come se ad Amelio interessasse di più la realtà delle cose (e la loro ineluttabilità) piuttosto che spiegarne la ragione o la causa.
A far capire che forse le cose possono cambiare sarà l’arrivo, nell’appartamento confinante a quello di Lorenzo, di una coppia del Nord, lui ingegnere navale controvoglia (Elio Germano), lei affettuosa madre di due bambini (Micaela Ramazzotti) che finirà per invadere e scardinare il muro difensivo che l’avvocato si è costruito intorno. Prima usando il suo terrazzo per rientrare a casa dopo aver perso le chiavi, poi contagiandolo con la sua vitalità un po’ naïf e coinvolgendolo in una vita domestica che Lorenzo non ha mai sperimentato, nemmeno quando si prende cura del nipotino Francesco (interpretato dal vero nipote di Carpentieri), che Elena ha concepito durante un lungo soggiorno in Egitto e che il nonno cerca a modo suo di diseducare.
Le cose precipitano quando un tragico fatto mette Lorenzo di fronte alla morte, costringendolo a fare i conti con quel legame — di affetto? di protezione? di sostegno? — che legandolo ai vicini sembrava capace di riempigli la vita e le giornate. Ma è proprio qui che Amelio (che si è liberamente ispirato al romanzo La tentazione di essere felice di Lorenzo Marone, sceneggiato insieme a Alberto Taraglio) ci sorprende, perché neppure il dolore sembra capace di cambiare davvero il cuore di Lorenzo. Ci si poteva aspettare un melodramma, almeno a questo punto del film, e invece la tenerezza del titolo continua a essere qualcosa di irraggiungibile, comunque estranea all’animo del protagonista.
Non è certo una scelta scontata, nemmeno dal punto di vista narrativo. E neanche l’ingresso in scena della passata amante di Lorenzo (l’ottima Maria Nazionale) aiuta a capire le ragioni di un così pervicace isolazionismo affettivo, di un’aridità che il protagonista non nega assolutamente ma che non cerca nemmeno di addolcire o modificare. Così che lo spettatore è messo di fronte a una tragedia che finisce per essere anche più atroce di quella dove (si vedrà come) è stato sparso tanto sangue.
Il fascino e la forza del film sono soprattutto qui, nell’accettazione silenziosa di un’aridità che Lorenzo ha finito come per trovarsi addosso, forse senza sapere perché (sono così tante le complicazioni della vita…) e che però accetta ineluttabilmente, come una condanna del destino. A volte certi dialoghi rischiano di dire o sottolineare troppo (l’incontro con Greta Scacchi, il dialogo intorno a un gelato col nipotino, l’ultima scena con la Ramazzotti), ma alla fine Amelio sa trovare il giusto equilibrio tra il bisogno di confrontarsi con l’intimità delle persone e la voglia di essere sincero fino all’(auto) flagellazione.