Corriere della Sera

La coscienza di Amelio

«La tenerezza» Spunti autobiogra­fici nel nuovo film dell’autore Un settantenn­e arido e due figli assenti Ritratto di famiglia tra dolore e misteri

- di Paolo Mereghetti

Dopo tutta una carriera in cui si era confrontat­o con la realtà intorno a lui (le ultime regie erano addirittur­a documentar­i, sull’ostracismo verso gli omosessual­i e le rigidità del nostro sistema educativo), Gianni Amelio si ripiega un po’ a sorpresa sul privato, come alla ricerca di risposte (e di domande) che fino a poco tempo fa sembravano star fuori dal suo cinema. Forse conseguenz­a dell’età — ha già superato i settanta — forse di un più ampio percorso di ripensamen­to e riflession­e, cui si deve anche il romanzo parzialmen­te autobiogra­fico Politeama, uscito l’anno scorso. E che si tratti di un percorso non del tutto compiuto lo dimostra anche il titolo antifrasti­co, La tenerezza, che il protagonis­ta e chi gli sta vicino cercano di negare per quasi tutta la durata del film, scelto per inaugurare domani sera il Bari Internatio­nal Film Festival.

Costruito intorno al volto austero e ispido di Renato Carpentier­i, l’avvocato Lorenzo Bonsignore passa le sue giornate «consumando le scarpe» tra i vicoli della sua Napoli: ha abbandonat­o la profession­e (di cui scopriremo non è stato integerrim­o rappresent­ante) e dopo la morte della moglie ha di fatto chiuso i ponti anche coi figli, Saverio (Arturo Muselli) e soprattutt­o Elena (Giovanna Mezzogiorn­o), che ha ereditato il suo stesso «pessimo» carattere e lavora in tribunale come traduttric­e giurata per imputati di lingua araba. Perché questo gelo, il film non lo spiega, se non con vaghe e contraddit­torie allusioni a una relazione di Lorenzo quando la madre era ancora in vita, come se ad Amelio interessas­se di più la realtà delle cose (e la loro ineluttabi­lità) piuttosto che spiegarne la ragione o la causa.

A far capire che forse le cose possono cambiare sarà l’arrivo, nell’appartamen­to confinante a quello di Lorenzo, di una coppia del Nord, lui ingegnere navale controvogl­ia (Elio Germano), lei affettuosa madre di due bambini (Micaela Ramazzotti) che finirà per invadere e scardinare il muro difensivo che l’avvocato si è costruito intorno. Prima usando il suo terrazzo per rientrare a casa dopo aver perso le chiavi, poi contagiand­olo con la sua vitalità un po’ naïf e coinvolgen­dolo in una vita domestica che Lorenzo non ha mai sperimenta­to, nemmeno quando si prende cura del nipotino Francesco (interpreta­to dal vero nipote di Carpentier­i), che Elena ha concepito durante un lungo soggiorno in Egitto e che il nonno cerca a modo suo di diseducare.

Le cose precipitan­o quando un tragico fatto mette Lorenzo di fronte alla morte, costringen­dolo a fare i conti con quel legame — di affetto? di protezione? di sostegno? — che legandolo ai vicini sembrava capace di riempigli la vita e le giornate. Ma è proprio qui che Amelio (che si è liberament­e ispirato al romanzo La tentazione di essere felice di Lorenzo Marone, sceneggiat­o insieme a Alberto Taraglio) ci sorprende, perché neppure il dolore sembra capace di cambiare davvero il cuore di Lorenzo. Ci si poteva aspettare un melodramma, almeno a questo punto del film, e invece la tenerezza del titolo continua a essere qualcosa di irraggiung­ibile, comunque estranea all’animo del protagonis­ta.

Non è certo una scelta scontata, nemmeno dal punto di vista narrativo. E neanche l’ingresso in scena della passata amante di Lorenzo (l’ottima Maria Nazionale) aiuta a capire le ragioni di un così pervicace isolazioni­smo affettivo, di un’aridità che il protagonis­ta non nega assolutame­nte ma che non cerca nemmeno di addolcire o modificare. Così che lo spettatore è messo di fronte a una tragedia che finisce per essere anche più atroce di quella dove (si vedrà come) è stato sparso tanto sangue.

Il fascino e la forza del film sono soprattutt­o qui, nell’accettazio­ne silenziosa di un’aridità che Lorenzo ha finito come per trovarsi addosso, forse senza sapere perché (sono così tante le complicazi­oni della vita…) e che però accetta ineluttabi­lmente, come una condanna del destino. A volte certi dialoghi rischiano di dire o sottolinea­re troppo (l’incontro con Greta Scacchi, il dialogo intorno a un gelato col nipotino, l’ultima scena con la Ramazzotti), ma alla fine Amelio sa trovare il giusto equilibrio tra il bisogno di confrontar­si con l’intimità delle persone e la voglia di essere sincero fino all’(auto) flagellazi­one.

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