Corriere della Sera

TEATRO MULIEBRE

AL BALCONE, AL BALLO O AL BAGNO COSÌ LE DONNE DIPINTE DA MANET SCRIVONO UN ROMANZO DI LIBERTÀ

- di Giovanni Montanaro

L’appuntamen­to Fino a luglio a Milano una mostra espone opere dell’artista francese e di altri protagonis­ti della modernità parigina dell’Ottocento. Uno scrittore riflette sulle (numerose) figure femminili presenti. I veri simboli del cambiament­o

Chi è la sua donna? Forse è Berthe Morisot, la pittrice. Eccola, gli occhi che ti guardano, il nero, poca pelle che affiora, chiara sopra il seno, le violette che danno il titolo al dipinto. Ecco il suo viso forte, ossuto. Quanto si cercano, quanto si capiscono, lei ed Édouard Manet. Forse, non sono mai stati amanti. Forse, non si sono mai sfiorati, neanche un bacio, non si sono visti nudi insieme. Possibile?

Ma è meno amore, questo? Questo desiderio, questo languore? No, ognuno nella vita ce l’ha, un amore incompiuto, che poteva accadere e non è accaduto, e quanto gli piace, e quanto gli manca. E così è possibile, doloroso, sublime, stare vicini per tanta vita senza sfiorarsi, e qualche volta metterci dentro le poesie, i colori, i rimpianti. Berthe aveva finito per sposare il fratello di Manet, diventando­ne cognata.

Diceva di essere felice. Forse, però, l’amore di Manet è Suzanne Leenhoff, la pianista, la legittima moglie, forse la madre di un figlio, comunque mai riconosciu­to. È lei che compare ne La lettura, bionda, meno complice di Berthe, più solida, più porto che nave, più mezzogiorn­o che tramonto, mussolina bianca alla moda, quei vestiti da grandi signore che non devono far niente, solo evitare di sporcarsi. È in casa, sul suo divano, lì dove nessuno può vederla.

Il dipinto è una ripresa fatta a distanza di dieci anni, c’è dentro tutto il tempo che loro due hanno, quel tempo di casa, di litigi e tenerezze, quel tempo che stringe, che mischia. Anche loro dicono di essere stati felici, sin da quando lui, nel 1863, ha detto a tutti i suoi amici che l’aveva sposata, dopo averla tenuta, per anni, praticamen­te nascosta. Ma l’amore è anche altro; è anche un istante, qualcosa che deve finire subito. Ecco cos’è una femmina, per un uomo, certe volte; uno sguardo, un profumo. E così ci sono le altre donne. Olympia, Colazione sull’erba, Victorine Meurent, l’altra modella preferita, nuda, le mani, le gambe a coprirsi un poco. Angelina, spagnola, bruttina, contrita, eppure la guardi, eppure ci parleresti, come a cercare mondi che non conosci. O Lola di Valencia, prorompent­e, pronta, per il ballo, la leggerezza, la furia.

Fanny Klaus, ventidue anni, la violinista che compare ne Il balcone, l’ombrello, il cappello, quel modo di non guardarti. E poi La cameriera della birreria, che chissà quanti anni ha, pare stanca, e non si capisce se Manet l’ha vista una volta sola o se invece ci andava tutti i giorni, in quella birreria, e all’improvviso si è accorto di lei, come ci paiono nuove all’improvviso, senza motivo, alcune persone che mai avremmo pensato. Queste, sono le donne di Manet. C’è anche la madre, dolce sullo sfondo in una sanguigna. Sono sue; distanti, vicine, solitarie, furbe, piene di desideri, di qualità.

Ma queste donne, in fondo, non sono solo sue. Sono le ragazze dell’Ottocento. E così ci sono le ballerine di Degas, le signorine scosciate dai rossi accesi di Boldini, la prostituta sola di Béraud, che attende in strada un cliente e qualcosa di nuovo, la stessa Morisot, che dipinge altre donne, la spettatric­e sul palco di Eva Gonzalès, col binocolo perché vuole vederci bene, la donna al bagno, nemmeno languida, di Stevens, Madame Darras di Renoir, con quel velo che non la copre. Sono donne nuove. Sono donne che esistono, nomi e indirizzi. Che amano, lavorano, leggono. Ridono e aspettano. Si spogliano. Non ti guardano, non vogliono essere ritratte. Sono belle. Vivono. Sono dappertutt­o, sono fuori, per le strade, all’opera e nei café-concerto, nei giardini, nei mercatini, nei circhi. Arrivano in ritardo, parlano a voce alta, un poco per farsi notare.

Si cingono negli scialli, nei tramonti. Non sono in posa, sono intime, hanno il tepore dei corpi che conosci, la sorpresa che si siano fatte belle per te. Stanno tra parrucchie­ri e vasche, inferriate e tessuti, calze e vestaglie, il sapore degli asparagi e la gentilezza delle peonie. Scappano, qualche volta. Scappano dentro i colori che si fanno incerti, nella pittura. Dentro i disegni, gli acquarelli, le maquettes, dentro le forme che non si compiono, che così meglio ci rappresent­ano. Scappano stando ferme, dietro le finestre. E poi scappano verso i mari, gli infiniti blu dove si trova senso, e risacca. Perché poi tornano indietro. Sono le donne di sempre, in fondo. Ma sono anche donne nuove, donne di città.

In tutti quei volti, come una luce, c’è Parigi. Baudelaire, Zola, Mallarmé, la nuova Gare Sainte Lazare, Café Tortoni, Café Guerbois, Nouvelle Athènes, ferro, intellettu­ali, palchi, tanta musica. Il tempo di Haussmann e Napoleone III; ogni anno, quasi cinquemila nuove case costruite, tra il centro e la periferia, e poi i boulevard, l’Île de la Cité. È come se tutto cambiasse, fosse in trasformaz­ione; l’Ottocento, la modernità, il corpo delle donne, la felicità.

Tutto va insieme; cambia Parigi insieme alle camicie, cambiano i ponti e le pettinatur­e, cambiano perfino le nuvole, insieme agli occhi. È Parigi. Quella Parigi che, ogni tanto, di questi tempi, è più malinconic­a, meno felice, e pare che senza di lei sia minacciato tutto di noi, di quello che siamo, intelletto e frivolezza, cieli e sottane.

Indipenden­za Sono donne nuove. Sono donne che esistono, nomi e indirizzi. Che amano, lavorano, leggono

 ??  ?? Ballerine Edgar Degas, «Il foyer della danza al teatro dell’Opéra», 1872
Ballerine Edgar Degas, «Il foyer della danza al teatro dell’Opéra», 1872
 ??  ?? Allegria Giovanni Boldini, «Scena di festa», 1889 circa
Allegria Giovanni Boldini, «Scena di festa», 1889 circa
 ??  ?? Ragazze Manet, «La cameriera della birreria», 1878 ca
Ragazze Manet, «La cameriera della birreria», 1878 ca

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