Superpotenza La costruzione della squadra che ha sovrastato il Barça Marotta: «Bello, ma non vale nulla se non vinciamo» Allegri: «C’è un contagio positivo. Daremo emozioni»
Champions Verso la semifinale i bianconeri sempre più solidi e consapevoli: decisivo il tocco del tecnico
C’è un’aria diversa sulle cime d’Europa. Perché tra le quattro squadre rimaste in Champions ce n’è una che ha una fame nuova. Una Superpotenza che nel 2015 ha fatto calare il silenzio al Santiago Bernabeu, un anno fa ha tenuto in ansia l’Allianz Arena e mercoledì ha strozzato l’urlo in gola ai 96 mila del Camp Nou. Non è nata l’altro ieri questa Juventus d’acciaio, solida e brillante allo stesso tempo, grazie all’equilibrio trovato da Massimiliano Allegri. È una squadra che ha fatto un percorso di crescita partito da Malmoe, prima trasferta con Max in panchina, ed è passata per vittorie quasi inaspettate e sconfitte da cui ha imparato molto.
Adesso, alla settima semifinale in Champions (quindi dal 1992), la seconda in tre anni, a Torino sentono che l’aria che tira è quella giusta per far volare l’aquilone bianconero sopra il cielo del Galles, sede della finale. Il doppio confronto senza subire gol proprio col Barça ha fatto alzare l’asticella: «È una tappa verso Cardiff» ha detto Allegri con la solita naturalezza. E le parole dell’a.d. Beppe Marotta fanno capire che questa Juve, senza Coppa dal 1996, non può più aspettare. «La qualificazione è una grande impresa. Ma la considero solo un traguardo che non significa nulla se non saliamo sul podio da vincitori. Mancano due ostacoli da superare per riuscirci. Il segreto della Juve? La forte mentalità internazionale, cresciuta sia nella società che nei giocatori. E ritrovata dopo che era scomparsa col ciclone del 2006. Il rapporto con Allegri ha portato solo aspetti positivi a tutti e procede senza screzi. Lui ha avuto un ruolo importante, anche psicologico, nella gestione degli uomini e nel dare la mentalità giusta».
Ma dopo la grande moda (non ancora passata, per la verità) del Cholismo e quella un po’ in crisi del Guardiolismo, si parlerà mai di Allegrismo? Il diretto interessato sorride, però fa capire che non c’è questo pericolo. Non con lui. Non alla Juve. «La cosa più importante è quello che fanno i giocatori. Le partite le vincono loro. In questa squadra c’è molta partecipazione, c’è un contagio positivo all’interno dello spogliatoio. Questa è la cosa più importante ed è giusto che le vittorie se le godano i ragazzi. Io posso dargli una mano e qualche consiglio, ogni tanto giusto, ogni tanto sbagliato. Di sicuro bisogna alzare l’asticella per migliorare sempre: regaleremo altre emozioni».
A Vinovo sono comparsi due striscioni in tre giorni a favore di Max: per uno che era stato accolto con insulti e uova è un’impresa. Il suo minimalismo non aiuta a creare il personaggio, ma il fatto di non mettersi mai al di sopra dei giocatori (o della società), finisce per responsabilizzarli e per costruire quella consapevolezza che ha riportato la Juventus dov’era due anni fa «con 9 giocatori diversi», come ricorda il tecnico. La squadra ha cambiato pelle, per merito di Allegri e della sua intuizione del 4-2-3-1 che «rende la Juve la favorita per la Champions — secondo Gianluca Vialli, capitano dell’ultimo trionfo — perché fa benissimo le due fasi». Ma il merito è anche di chi ha ricostruito la squadra e messo a disposizione del tecnico un mix di giocatori che ha ambizione, maturità e talento.
Poi magari l’estate porterà novità, variabili non previste, equilibri diversi. E anche per questo la magia di certi momenti come quelli vissuti col Barcellona va fissata, impacchetta e riutilizzata prima possibile, nel prossimo mese e mezzo. Le coincidenze positive sono troppe per non essere sfruttate: c’è Buffon che vuole vincere il trofeo che gli manca ed è l’anima di questa squadra; c’è Mandzukic che si sacrifica come un terzino; Khedira (out nell’andata della semifinale per squalifica) che non è mai stato così bene dai tempo dello Stoccarda; Pjanic e Dybala in crescita verticale, la difesa in stato di grazia e «con la testa a carrarmato» come ha detto Bonucci ieri a Sky; Cuadrado (rientrato più tardi da Barcellona per curare il mal di schiena) che pare in trance agonistica. Solo Higuain in Europa fin qui non ha ancora fatto davvero la differenza. Ma c’è ancora tempo. Il bello deve ancora venire.