Corriere della Sera

Kepel: le carceri, il nostro fallimento

- Di Lorenzo Cremonesi

Secondo il politologo Gilles Kepel, la grande falla dell’antiterror­ismo francese non è a livello investigat­ivo, ma nel sistema delle carceri: «Sono le accademie dell’Isis».

«Non credo proprio che questo attentato sortirà effetti rilevanti sul risultato elettorale in Francia. Forse condizione­rà un’infima minoranza di indecisi. Ma la verità è che la nostra polizia mostra di avere imparato la lezione e riesce bene a prevenire le mosse dei terroristi. Lo vedo in presa diretta, lo posso testimonia­re anche solo ascoltando le comunicazi­oni della mia scorta». Gilles Kepel ci parla per telefono viaggiando per Parigi a bordo dell’auto della polizia che lo accompagna dall’estate scorsa, quando il suo nome apparve tra le liste delle vittime designate da Isis. «Pensavo potesse essere un peso questo della scorta. In effetti ci sono inconvenie­nti. Però sto anche imparando un mucchio di cose».

Per esempio? Com’è possibile che il responsabi­le dell’attacco sia un ex carcerato? Non le sembra un fallimento dei sistemi di sicurezza?

«Posso testimonia­re che la polizia francese assieme ai servizi segreti sono riusciti a sventare decine di attentati negli ultimi tempi. Ci sono state perquisizi­oni a tappeto, con centinaia di arresti, azioni quasi del tutto sconosciut­e dal grande pubblico. E il risultato si vede. È da nove mesi, dall’attacco contro una chiesa in Normandia il 26 luglio scorso, quando venne sgozzato un sacerdote, che i jihadisti non riescono nei loro intenti. Il tre febbraio l’aggressore alle porte del Louvre è stato subito colpito dai nostri soldati. I jihadisti potrebbero cambiare le cose solo con un grave attentato in un luogo pubblico che coinvolges­se decine di civili. Ci provano, ma non riescono. Ovvio che sono dispiaciut­o per la morte del poliziotto e il ferimento di altri nel cuore di Parigi, ma davvero l’attacco delle ultime ore prova solo il successo delle nostre forze di sicurezza. Due o tre anni fa erano impreparat­e, non si era compresa la forza del terrorismo jihadista, il suo radicament­o capillare in Francia e in Europa. Non è più così».

Entrano per reati comuni ed escono a uccidere in nome di Allah

Dove sta il fallimento, visto che l’attentator­e era noto?

«Sta nel sistema giudiziari­o e soprattutt­o nelle carceri. Questo discorso vale per la Francia, ma anche per l’Italia e larga parte dell’Europa. Va capito che le nostre carceri sono diventate vere accademie per Isis e i suoi affiliati. Capita sempre più spesso che criminali comuni, anche solo dietro le sbarre per reati minori, entrino in contatto con le reti del terrorismo islamico, i loro ideologi, i loro apparati militari proprio durante la detenzione. Così ne escono ben peggio di prima, mine vaganti Sulla vetrina Il foro di un proiettile su una vetrina vicino ai grandi magazzini Marks & Spencer sugli ChampsElys­ées (Getty) pronte a colpire. E questo pare sia il caso dell’ultimo attentator­e».

Pare fosse ben organizzat­o. Isis ha subito rivendicat­o.

«Vero. Ma è strano. Quasi sempre in questi casi i comunicati di Isis sono generici, inneggiano alla guerra santa contro i crociati, non menzionano l’identità del loro militantem­artire. In questo caso invece hanno fornito il nome di un belga, che forse è anche sbagliato. Dobbiamo stare attenti e valutare bene. Magari si è trattato di un comunicato diffuso subito, è un fatto, ma da qualcuno che non aveva alcun rapporto con il terrorista e ha voluto solo strumental­izzare l’effetto propaganda».

Come evitare che le carceri divengano accademie della jihad?

«Occorre sensibiliz­zare i magistrati e l’intero sistema giudiziari­o. Il nuovo governo dovrà investire forti risorse economiche. Non è possibile che una persona stia dodici anni in carcere per reati comuni e ne esca per uccidere in nome di Allah. Credo che in Italia abbiate un problema simile».

Il Califfato è in crisi, sta perdendo la sua dimensione territoria­le in Medio Oriente e le due capitali di Mosul e Raqqa. È ancora in grado di guidare le colonne europee?

«Non più. Certo non come un anno fa. Isis oggi sta combattend­o una guerra di sopravvive­nza in Medio Oriente, non ha più energie e mezzi per tenere contatti effettivi con i suoi simpatizza­nti in Europa e nel mondo. Si limita forse e fornire direttive di massima».

A cosa mirano quelli che operano in Francia?

«Cercano di creare una profonda frattura nella società francese. Così sperano nella vittoria della Le Pen e della destra xenofoba per separare la comunità islamica dal resto dei cittadini e fomentare la guerra civile. Ma il loro progetto è ormai ben noto, ecco il motivo per cui non credo riuscirà. Votare Le Pen significa fare il gioco dei radicali islamici. Mi sembra che Macron stia guadagnand­o punti e il Fronte nazionale sia in stallo».

Crede che l’Italia e l’Europa debbano fermare i migranti in arrivo dalla Libia?

«È una necessità vitale per le nostre democrazie. La mancanza di controllo sui flussi migratori illegali destabiliz­za le nostre società e alimenta i razzismi».

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