Corriere della Sera

Fenomenolo­gia di Macron

- Di Aldo Cazzullo

L’europeista laureato all’Ena, uscito dalla banca Rothschild, appoggiato dai media, inventato da Hollande, amico degli immigrati, sarà davvero in testa domani sera? Eppure nei sondaggi il vantaggio di Macron aumenta anche dopo l’attacco degli Champs-Elysées.

Pareva tutto troppo bello per essere vero. L’europeista laureato alla grande scuola dell’Ena, uscito dalla banca Rothschild, benedetto dall’establishm­ent parigino, appoggiato dai media, inventato in politica da Hollande, amico degli immigrati: tutte le cose — l’Europa, l’Ena, le banche, l’establishm­ent, Parigi, i media, Hollande, gli immigrati — che la Francia profonda detesta di più. L’attacco ai poliziotti sugli Champs-Elysées ha rotto l’incanto, o l’ha reso più fragile. Eppure i sondaggi restano unanimi: Emmanuel Macron, questo trentanove­nne gentile, ricco, pianista — ha studiato per dieci anni al Conservato­rio —, dagli occhi azzurri (come tutti i candidati importanti tranne uno), domani dovrebbe arrivare in testa al primo turno e tra due settimane battere Marine Le Pen al ballottagg­io. Nelle rilevazion­i di ieri ha aumentato il distacco — cinque punti — su un Fillon in discesa. Resta da capire se i sondaggi fotografan­o davvero la Francia esasperata della primavera 2017, oppure il mondo ideale dove Londra vota per restare in Europa e Hillary diventa presidente degli Stati Uniti.

Ieri Macron ha tentato in ogni modo di dimostrare che abita la Francia reale. Ha rinunciato al comizio finale di Rouen, la città dove Giovanna d’Arco salì sul rogo e padre Jacques Hamel fu sgozzato da un terrorista ragazzino. Ma non ha sospeso la campagna: «Non saranno i nostri nemici a decidere chi siamo. Noi siamo un popolo vivo, libero, che ama l’avvenire». Aveva annunciato un messaggio alla nazione verso mezzogiorn­o, ha parlato con un’ora di ritardo, al sesto piano del quartier generale di rue de l’Abbé Groult, zona Montparnas­se: un incrocio tra la sede di una start-up e il set di una fiction; muri rossi e blu, letti a castello per le volontarie che lo adorano, rispondono alle mail per lui in pochi minuti, lavorano per lui giorno e notte.

Gli avversari principali, François Fillon e Marine Le Pen, hanno parlato da capi di guerra. Anche Macron ha tentato di fare la faccia feroce; ma non gli è venuta benissimo. Ha ripetuto per tre volte che sarà «implacabil­e»: ma ha dato l’impression­e di recitare una parte. «Il ruolo del presidente della Repubblica è proteggere i francesi, e io lo farò…». Un compitino recitato sbirciando ogni tanto il testo scritto. «Distrugger­emo i nostri nemici in Siria e in Iraq…»; ma l’aveva già detto Hollande; la fine è nota. La sua candidatur­a è cresciuta sui temi economici; sulla sicurezza l’uomo della destra e la donna del Front National sono meno a disagio del pianista Macron. Uno annuncia la chiusura delle frontiere, l’altra l’espulsione di tutti i sospetti. Il suo discorso invece è complesso, problemati­co, diplomatic­o: una task force all’Eliseo, vigilanza nelle carceri e su Internet. Ritrova il filo solo quando torna ai propri argomenti: «Non dobbiamo cedere al panico. La sfida del terrorismo è la sfida della nostra generazion­e. Dobbiamo costruire un’unità nuova attorno a un progetto di progresso. Rifondare un’Europa che protegga, trasforman­do la società, la scuola, la cultura, il lavoro…».

Le volontarie lo ascoltano protettive. Due sorprendon­o il cronista mentre consulta un libro malizioso sui Macron (la moglie Brigitte, 64 anni, sua ex insegnante di francese al liceo Providence di Amiens, ha tre figli poco più grandi del marito e sette nipoti). La prima militante reagisce indignata: «Cos’è questa roba?! Lui è buono!». La seconda appare sinceramen­te amareggiat­a: «Lei è italiano? Non sa che Emmanuel adora l’Italia? Considera il lago di Como uno dei più bei posti al mondo, il Natale scorso l’ha passato a Roma!». Sino a ieri il loro principale problema pareva decidere la piazza dove festeggiar­e la vittoria: non la Bastiglia, troppo di sinistra; la Concorde neppure, troppo di destra; la République neanche, troppo movimentis­ta. Macron stesso era certo di farcela. Ora le cose un po’ si complicano.

Finora gli era andato tutto bene. La sua discesa in campo appariva prematura. Poi le disastrose primarie dei due grandi partiti hanno eliminato i moderati, Juppé e Valls, spalancand­ogli una prateria al centro. I socialisti hanno scelto un radicale, Benoît Hamon, che non ha toccato palla. La destra repubblica­na ha puntato su Fillon, indebolito dagli scandali e dal modo maldestro in cui ha tentato di uscirne. Fillon odia Ma-

«Il lago di Como? Uno dei posti più belli del mondo». Ha passato a Roma lo scorso Natale

cron. Lo chiama Emmanuel Hollande, come il suo impopolare padre politico. Lo definisce «un impostore», «grande esperto di marketing del nulla».

In compenso, Macron piace a tutti gli altri: da Schäuble, arcigno gendarme dell’austerity, al sessantott­ino Daniel Cohn-Bendit, detto Dany il Rosso. È l’unico a mettere d’accordo Renzi, che lo sostiene, e Letta, che per i viaggi in Italia gli consiglia i ristoranti. Non perde mai la calma. Detesta i conflitti. Quando, dopo il dibattito a 11, l’anticapita­lista Philippe Poutou ha rifiutato di posare nella foto, lui è stato l’unico a tentare di convincerl­o (invano: «Non siete mica la mia famiglia» gli ha risposto l’irriducibi­le). Ieri ha ricevuto il sostegno dell’ex premier di destra Dominique de Villepin e di Barack Obama, che gli ha pure telefonato (e non è detto che porti bene).

Come oratore è pessimo. Freddo, tutto testa e occhi azzurri. Del resto non ha mai fatto una campagna in vita sua: non è stato eletto neppure in un consiglio comunale; si è candidato direttamen­te all’Eliseo. Ha avuto una formazione impeccabil­e, il che in tempi di rivolta antisistem­a può non rivelarsi un vantaggio. Allievo del filosofo Paul Ricoeur, scoperto dai vecchi volponi Alain Minc e Jacques Attali, che l’ha voluto segretario della commission­e tecnocrati­ca per il rilancio dell’economia: una foto lo ritrae giovanissi­mo mentre consegna al premier Fillon un malloppo di proposte, a cominciare dalla liberalizz­azione dei taxi; scoppiò subito la rivolta dei tassisti e non se ne fece nulla. Il suo ideologo è Jean Pisani-Ferry,

coetaneo della moglie, già braccio destro di Delors in Europa; ma il suo modello inconfessa­to è Giscard, il più giovane presidente della Quinta Repubblica, eletto quasi senza partito. Tra gli ex colleghi socialisti di governo che si sono schierati con Macron, in questi giorni ha portato sul palco solo il ministro della Difesa, Yves Le Drian, garanzia della forza e dell’esperienza che gli mancano.

Ha chiuso l’ultimo discorso della campagna con un meraviglio­so passaggio dei Miserabili di Victor Hugo: «Tentare, osare, insistere, perseverar­e, essere fedeli a se stessi, affrontare il destino corpo a corpo, tener duro, tener testa; ecco l’esempio di cui i popoli hanno bisogno, ecco la luce che li elettrizza» (prudenteme­nte omesso il seguito: «La stessa luce formidabil­e va dalla torcia di Prometeo alla pipa di Cambronne»). Poi, sul classico «Vive la République vive la France», ha accennato penosament­e a irrigidire la mascella, rischiando di rovinare tutto.

Non è detto che l’attacco degli Champs-Elysées capovolga l’esito delle urne, come prevede Trump in uno dei suoi tweet. La Francia è in guerra da oltre due anni, ha già avuto 238 caduti nelle proprie città. L’eliminazio­ne di Macron sarebbe una sorpresa clamorosa; e passare il turno insieme con Marine Le Pen aprirebbe le porte alla vittoria. L’ascesa di Mélenchon sembra essersi esaurita. Domani il bell’Emmanuel deve guardarsi da una sola incognita: Fillon. L’unico candidato senza gli occhi azzurri.

Ama l’Italia Miserabili Ha chiuso l’ultimo discorso con un passo dei Miserabili di Victor Hugo: «Tentare, osare»

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