Colpire il voto: l’Isis non ha inventato nulla
È una storia antica. I terroristi partecipano al voto con minacce e attacchi. Strategia portata avanti fin dall’epoca di Al Qaeda e messa in atto quando i militanti ne hanno avuto l’opportunità. Nel 2003 l’ideologo saudita Yousef al Ayiri invita a colpire target spagnoli per indurre Madrid a richiamare il contingente dall’Iraq. Una mossa che a suo giudizio innescherebbe una reazione a catena. Perché, sempre secondo la sua analisi, l’esempio spagnolo verrebbe seguito dall’Italia e dalla Polonia, ritenuti anelli deboli della coalizione per via dell’opposizione interna alla missione a Bagdad al fianco degli Usa. In effetti la Spagna subirà attacchi nel teatro mediorientale e la stessa cosa avverrà per l’Italia, con il massacro di Nassiriya.
Il salto di qualità è la strage di Madrid — 11 marzo 2004 — alla vigilia delle politiche. Il governo di centro-destra presieduto da José Maria Aznar addossa inizialmente la responsabilità ai separatisti baschi, le indagini però scoprono che gli autori fanno parte di una cellula jihadista. La gestione da parte delle autorità diventa un caso. A vincere saranno i socialisti di Zapatero che avevano inserito nel loro programma il richiamo delle truppe dall’Iraq. Ritiro che avviene in aprile.
L’attacco è la riprova della determinazione di inserirsi nelle sfide politiche dei paesi occidentali. Non per caso. Abu Musab al Suri, uno dei riferimenti di Al Zarkawi, ha vissuto a lungo in Gran Bretagna e Spagna, conosce bene le nostre dinamiche, è considerato il padre dell’euro-jihadismo. Il suo messaggio è ancora molto ascoltato. In Francia hanno la possibilità di saldare la lunga campagna di violenza iniziata nel 2015 con quella elettorale. Per far cambiare idea agli elettori o diventare parte del dibattito politico. Chiusa questa pagina troveranno altre «cause» con le quali giustificare gli omicidi.