«Dopo la vittoria andrò a Roma Chiederò di trattenere qui 25 miliardi di entrate fiscali»
Maroni: con Zaia avremo un potere contrattuale formidabile
«Il giorno dopo la vittoria del referendum, io e Luca Zaia saremo a Roma. Per chiedere di rispettare la volontà popolare, che conta molto più di quella dei premier o dei governatori». Roberto Maroni, d’intesa con il governatore del Veneto, ha annunciato la data per il referendum sulle autonomie delle due regioni: il 22 ottobre.
Presidente, che cosa succederà il giorno dopo?
«Io e Zaia andremo a Palazzo Chigi con un potere contrattuale formidabile. Un potere che ci consentirà di portare finalmente a casa i risultati che aspettiamo da tanto tempo».
Il referendum è consultivo. E se l’affluenza fosse deludente?
«Dobbiamo spiegare bene a tutti quello che ho appena detto: con il potere invincibile che viene dai lombardi e dai veneti insieme, la svolta può finalmente arrivare. Le due Regioni non potranno essere ignorate».
Nel concreto, lei che cosa chiederà al governo?
«Il mio obiettivo è quello di mantenere in Lombardia la metà del residuo fiscale che oggi prende la strada di Roma. In soldoni, potrebbero essere oltre 25 miliardi all’anno. Oggi la differenza tra le tasse pagate dai Lombardi e quello che ritorna sul territorio è di 53 miliardi».
Francamente, governatore: 25 miliardi. Non le pare un po’ irrealistico?
«Sarebbe irrealistico se chiedessi di mantenere in Lombardia l’intero residuo fiscale. Se chiedessi per la Lombardia quel che da sempre vale per la Sicilia. È chiedere troppo il ritorno della metà di quanto si versa?».
I temi delle autonomie sono ancora al centro degli interessi dei lombardi?
«Io penso proprio di sì. Credo che nemmeno un lombardo, fuorché qualche matto, potrebbe dire no al mantenere le risorse là dove vengono generate. Questo è il compimento di un sogno di decenni e mi ha fatto molto piacere che Bossi abbia detto che il referendum sia il frutto di un lungo lavoro e di una lunga lotta. E credo che possa essere un fatto politico molto rilevante: mai si era fatta una cosa del genere».
Quali conseguenza politiche immagina?
«Tenga conto che in Lombardia i 5 Stelle si sono detti favorevoli alla consultazione, mentre in Veneto è addirittura il Pd che si dice d’accordo. Non dico che il referendum disegni nuove alleanze, ma di certo entra a gamba tesa nel sistema italiani e costringe ciascuno a prendere posizione: nel Pd si apre una contraddizione, i grillini saranno costretti a fare le scelte che fin qui non hanno mai voluto fare. Per non parlare del centrodestra».
Parliamone, invece...
«Ora è presto, siamo semplicemente al riscaldamento. La partita vera incomincia l’8 maggio».
Perché l’8 maggio? Il ballottaggio in Francia?
«Non solo. Le elezioni francesi contano perché è chiaro che se vince o perde la Le Pen il rapporto tra Lega e Forza Italia cambia. Ma l’8 maggio c’è anche l’assemblea nazionale del Pd. E cambia molto se Renzi avrà vinto con l’80 o con il 52. Nel primo caso spingerà per elezioni a ottobre, in caso contrario si andrà alla primavera 2018. E se si vota l’anno prossimo, allora è anche pos-
Le posizioni In Regione M5S si è detto d’accordo, in Veneto il Pd Il voto costringe ognuno a prendere posizione
sibile che la legge elettorale cambi… Anche per questo il referendum è così importante».
La Lega è in fase congressuale, Salvini e Fava si sfidano per la leadership. Lei chi sceglie?
«Ovviamente ho sentito tutti e due e a entrambi ho detto la stessa cosa. E cioé, che bisogna assolutamente evitare che il confronto diventi una guerra. A Salvini ho anche detto che una candidatura in senso nordista può persino essere d’aiuto nell’espansione a Sud, perché fornisce una compensazione interna e una valvola di sfogo per il militanti più tradizionali. Si faccia gioco di squadra. Come quando Bossi mi mandò a trattare con Mario Segni e il giorno dopo stracciò l‘accordo. Io non me la presi: era il gioco di una squadra».