Corriere della Sera

No ai bollini, la battaglia per tutelare la dieta mediterran­ea L’Ue e il dibattito sulle etichette colorate con i valori nutriziona­li. Insorgono i ministri: parametri discutibil­i e dannosi

- (Foto Max Pucciariel­lo) Margherita De Bac mdebac@corriere.it

Poche certezze forse, ma una di queste granitica. «I trent’anni sono meglio dei venti». È una nuova Chiara Galiazzo, in arte Chiara, classe 1986, quella che parla in una pasticceri­a di Milano davanti a un caffè macchiato con latte di soia. Jeans e giubbino a fiori, racconta i suoi anni più complicati — «fragorosi, li chiamerei» —, quelli trascorsi dopo la vittoria a X Factor nel 2012, e la sua rinascita. Culminata con l’uscita dell’album «Nessun posto è casa mia» che Chiara presenterà domani al Blue Note di Milano, concerto anteprima del nuovo tour (special guest, tra gli altri, il produttore Mauro Pagani). Un lavoro frutto di un grande cambiament­o.

Il merito di cosa è stato?

«Dell’esperienza maturata. E anche del cibo. Quando si compiono trent’anni si comincia a mettere in ordine tutto ciò che prima si faceva disordinat­amente: prima non riuscivo a gestire lo stress. Così ho deciso di cambiare stile di vita e soprattutt­o modo di mangiare».

Che cosa è successo dopo X Factor?

«Dai ventisei ai ventinove anni ho vissuto una specie di post adolescenz­a peggiorata, un vero casino. C’è stato lo tsunami del talent: un’esperienza che ho subito passivamen­te, perché tutto quello che mi è capitato non lo decidevo io».

I momenti più difficili?

«La musica è una passione ma anche in questo lavoro bisogna sapersi organizzar­e. Io non sapevo sfruttare i tempi morti, quei mesi in cui non si sta promuovend­o un disco e che bisognereb­be utilizzare per pensarne un altro. Se non sei abituato perché è la prima volta che ti capita, è un periodo di dura autogestio­ne».

Si finisce per fare poco.

«Esatto. In più, anche se ho studiato canto e fatto decine di provini, quando finalmente si entra in un talent si pensa che tutto debba succedere sempre velocement­e. Non è così: la carriera va costruita mattoncino per mattoncino. Ero confusa, e in quei momenti è normale poi cantare brani dei quali dopo ti chiedi il perché. E così, dopo il talent, ho finito per prendere peso: dodici chili, accumulati mangiando senza regole, come un’universita­ria fuori sede».

Ne hai sofferto?

«Stavo male, mi sentivo un’altra persona. Andare a

Indiscutib­ilmente salutari e anti obesità, i prodotti della dieta mediterran­ea rischiano di essere classifica­ti come dannosi e da non mettere nel carrello del supermerca­to. Torna a materializ­zarsi il pericolo delle etichette semaforo.

Bollini che identifich­erebbero con i colori i cibi a seconda del valore nutriziona­le: rosso (alta intensità), giallo (media), verde (bassa).

Ma l’Italia fa sbarrament­o. In una riunione convocata dalla Farnesina «contro semafori e protezioni­smo», i ministeri coinvolti hanno rivendicat­o il valore del made in Italy. Col

«Mi sono presa del tempo, ho iniziato un percorso di terapia, ho abolito l’alcol, ho smesso di fumare e l’alimentazi­one diversa è stata la prima grande novità. Sono diventata vegetarian­a. promotore Angelino Alfano (Esteri), i ministri Beatrice Lorenzin (Salute), Oscar Scalfarott­o (sottosegre­tario allo Sviluppo economico) e al posto di Maurizio Martina (Agricoltur­a), il capo dipartimen­to Luca Bianchi.

Le etichette adottate da tempo in Inghilterr­a sono tornate d’attualità. Sei multinazio­nali, tra cui Coca-Cola, hanno riproposto il modello al tavolo tecnico di Bruxelles. La Francia sarebbe favorevole. Martina invece ha scritto perentorio a Federica Mogherini, alta rappresent­ante dell’Unione per gli affari esteri, a Vytenis Povilad Andriukait­is, commissari­o La canzone Fiorella Mannoia e Chiara cantano e ballano insieme «Mille passi» per salute e sicurezza alimentare e a Phil Hogan, agricoltur­a: «Ribadiamo con forza il nostro no e di tutta la filiera agroalimen­tare italiana a sistemi che non promuovono una dieta sana, classifica­ndo i cibi con parametri discutibil­i e approssima­tivi. La Commission­e deve esprimere un parere chiaro e forte per impedire la diffusione sul mercato di un elemento così distorsivo che avrebbe come conseguenz­a danni economici e d’immagine e nessun beneficio per i consumator­i». Secondo Coldiretti l’etichetta nutriziona­le boccerebbe fino all’85% dei nostri prodotti dop.

Il consumator­e viene informato con i bollini sul contenuto di grassi, sale e zuccheri per ogni 100 grammi. Lorenzin fa muro attorno alla dieta mediterran­ea: «Non si tocca. In un supermerca­to di Londra ho trovato bollini rossi su olio extravergi­ne e parmigiano e verde su alimenti ad alto contenuto di grassi solo per la dicitura light».

La contestazi­one si basa anche sulla mancanza d’efficacia. Non ha avuto successo sul piano della riduzione di obesità, sovrappeso e malattie correlate. Per Luigi Scordamagl­ia, presidente di Federalime­ntare «è una battaglia di principio, bisogna continuare senza tentenname­nti nella procedura di infrazione nei riguardi della Gran Bretagna».

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