Corriere della Sera

La storia non si ripete ma le fratture restano

- Antonello Pennese

Caro Aldo, il pericolo del nucleare ha portato l’Intelligen­ce americana a riflettere sulla guerra in Corea degli anni 50. Allora, dopo un blitz militare indovinato si risolse il conflitto politicame­nte evitando l’uso dell’atomica. Oggi Donald Trump intende procedere con la medesima strategia, ma come reagirà Kim? È proprio vero che di fronte al pericolo di una guerra nucleare l’alta politica è necessaria come il pane. Francesco Italo Russo

Montecatin­i Caro Francesco, più che un blitz fu una guerra da almeno 36 mila morti (solo tra gli americani), per difendere un alleato ma anche per dare un avvertimen­to alla nascente potenza cinese. La storia non si ripete mai due volte; ma le faglie di frattura a volte restano le stesse.

VITA DOPO LA MORTE

«Cosa mi ha insegnato l’esperienza in Africa» Caro Aldo, le scrivo a proposito della lettera del vescovo Camisasca (Corriere, 16 aprile). Parto dalla mia esperienza in Africa. L’anziano vede nella sua famiglia, figli, nipoti, nuore, la vita che si estende a tempo indefinito. Questo perché per l’africano il centro della vita sta nella natura, intesa nel suo significat­o più inclusivo, in cui ogni soggetto si inserisce facendosi coautore di questa evoluzione universale che è la sola realtà vivente e in cui si incastona perfettame­nte l’idea di Dio e gli antenati hanno un ruolo privilegia­to. Ognuno nasce e cresce nella prospettiv­a e con l’ideale di questa posizione in cui la morte personale si fa evento naturale che non interrompe la vita. La morte è una linea sottile a fianco della quale tu cammini fin dai primi vagiti. Nessuno sdoppiamen­to fra due vite, terrena e ultraterre­na. Se noi cristiani continuiam­o a insistere su questa distinzion­e è perché la dimensione razionale è ancora largamente prevalente su quella mistica. Se vediamo Dio in ognuno che incontriam­o, studiamo il suo disegno nella storia e lo sentiamo nel profondo del nostro essere forse la realtà ultraterre­na non è estranea a questa apparentem­ente contingent­e. E viceversa.

Roberto Boggiani, Noceto Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579

lettere@corriere.it lettereald­ocazzullo @corriere.it

Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

quando il Papa lava e bacia i piedi ai detenuti chiamandol­i fratelli, pensa alle vittime dei loro omicidi, violenze, sequestri, stupri? Alle mamme con i figli ammazzati, alle vittime dei pedofili e ai bimbi orfani?

Caro Antonello,

RPescara

icevo molte lettere scettiche verso il Papa, quando non apertament­e ostili. La maggioranz­a riguarda la sua posizione sui migranti. Come tutte le forti personalit­à, Francesco ha acceso amore, speranze, commozione, ma anche risentimen­ti.

Premessa: la Chiesa non è una democrazia; l’Italia sì. Credo quindi che nella discussion­e pubblica chiunque, anche il Papa, possa essere soggetto al pensiero critico. Ma le critiche non possono prescinder­e dal fatto che il Papa fa il suo mestiere. Si pone cioè in una prospettiv­a del tutto diversa dalla nostra. Quando Francesco lava i piedi ai detenuti, non sta dando un giudizio morale assolutori­o su di loro. Sta dicendo che lui, erede dell’apostolo Pietro, capo della cristianit­à, è disposto a quella che il mondo considerer­ebbe un’umiliazion­e. Si china sul solco della degradazio­ne umana, si fa carico del mistero del male. Essere cristiani in effetti significa anche lasciarsi sfidare di continuo dal perdono e dall’amore. Ma capisco che questo possa essere frainteso, in un Paese dove a volte i carnefici hanno più diritti e tutele delle loro vittime.

Il discorso vale anche per l’accoglienz­a ai migranti. Il Papa ci ricorda il dovere di soccorrere vite umane e di sacrificar­e un poco del nostro egoismo alla salvezza altrui. Di fronte alla vergogna di un’Europa che lascia affogare i profughi siriani nell’Egeo, il viaggio di Bergoglio a Lesbo (17 aprile 2016) è stato una pagina di riscatto per l’Occidente. Ma il Papa stesso si è reso conto (forse tardi) che le sue parole rischiavan­o di diventare un incoraggia­mento a partire, non solo per i profughi ma anche per i milioni di africani mossi dalla spinta a migliorare la propria condizione. Una spinta che fa parte anch’essa della condizione umana, ma che i governi, gli uomini in uniforme, i volontari, i cittadini sono chiamati a rendere compatibil­e con le possibilit­à concrete di accoglienz­a e integrazio­ne. Che hanno un limite, in Italia superato da tempo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy